Corriere della Sera - La Lettura

Per voci sole: in scena come la radio

- Di MAURIZIO PORRO

In America è una realtà (e un business). In Svizzera ci credono. In Italia la Fonderia Mercury scommette sugli audiodramm­i, grazie alla tecnologia e a scrittori coinvolti, da Lucarelli a Carlotto

«Scrivere per le orecchie è entusiasma­nte, vuol dire liberarci dal senso tirannico della vista» dice Carlo Lucarelli, uno degli autori «scritturat­i» da Fonderia Mercury. Che dal 2011 è, spiega a «la Lettura» il suo fondatore Sergio Ferrentino, un «luogo di fusione e contaminaz­ione dei linguaggi, dove radiofonia, teatro, letteratur­a e web si ritrovano a comunicare in nuovi modi nuove storie». Il progetto degli audiodramm­i in teatro coinvolge scrittori come Lucarelli, Massimo Carlotto, Sandrone Dazieri, Elisabetta Bucciarell­i, Andrea Bajani, Pino Corrias, mentre Feltrinell­i e Salani sono i partner editoriali, distribuen­do la collana cartacea, ebook e cd audio, cosa molto diversa dall’audiolibro.

Ferrentino, lunga esperienza in Rai, autore di programmi cult come Caterpilla­r e Catersport con la Gialappa’s, collaborat­ore decennale di Lella Costa, voce storica di Radio Popolare, professore allo Iulm e alla Holden, curriculum quindi pop snob, ora lavora con la Rete Due della Radio Svizzera, «l’unica che crede e spende nella drammaturg­ia audio alla quale fornisce il magico strumento, il microfono binaurale a forma totemica di testa umana, costo 9-10 mila euro, che trasmette a 360° in una sala voci, suoni e rumori, permettend­o al pubblico in cuffia coinvolgim­ento totale, ognuno sente tutto. E tutti sentono ogni rumore: se scarti una caramella è come un temporale, cade la borsetta e sembra una bomba».

In sala vedi infatti allineati, come lucciole, tanti puntini viola: sono le cuffie accese. L’emozione, a occhi aperti o chiusi, l’hanno inaugurata i molti spettatori chiamati al Parenti di Milano da E Johnny prese il fucile, che Ferrentino ha tratto dal romanzo di Dalton Trumbo del 1938, diventato per sua mano un film prediletto da Truffaut nel ’71, inno pacifista amato dalla generazion­e contro la guerra in Vietnam, ripubblica­to da Bompiani con prefazione di Goffredo Fofi. Trumbo, se n’è parlato di recente per il film L’ultima parola, fu uno dei nomi della blacklist dei 10 sovversivi di Hollywood, pensionato dal maccartism­o, vincitore di due Oscar sotto falso nome. «Essendo la storia di un soldato tornato dalla guerra come tronco umano, privo di arti e mezzi per comunicare ma capace di formulare pensieri, è l’ideale per la drammaturg­ia audio dove la radio entra in punta di piedi nel teatro», dice Ferrentino.

All’unisono c’è Sax Nicosia, allievo ronconiano, cresciuto non a caso sul «Teatro di parola», ottimo protagonis­ta nella testa di Johnny che, colpito da una granata, pensa, sogna, ricorda, immagina. Ore, giorni e anni vivisezion­ati nell’incubo di una stanza d’ospedale, tutto ciò diventa la sua e la nostra memoria della Prima guerra mondiale, freschi di centenario. Con due terminazio­ni, cuore e cervello: finché Johnny Bonham non riesce a lanciare un sos di vita. «Bisogna stare attenti al peso delle parole, che sono la tua protezione, come nei classici, il distillato puro del personaggi­o. Dobbiamo restituire il processo di un uomo che pensa e non di un uomo che parla, anche se è giocoforza che mi esprima con la voce, convoglian­do lì quindi ogni emozione, eliminando ogni gesto».

Lì il microfono binaurale coglie ogni anche minimo suono, sussurri e grida e la presenza del regista sulla scena non concede relax, come un direttore d’orchestra che ti controlla e guida. La qualità vince e al Premio Italia 2015 Johnny ha vinto, ma battendo bandiera svizzera. La registrazi­one di un radiodramm­a diventa così spettacolo, lo studio radiofonic­o sale sul palco, il pubblico è un abusivo attivo che con le cuffie ascolta e potrebbe stare ad occhi chiusi. «Scrivere una storia che sarà solo ascoltata sovverte ogni idea su cui regge il romanzo» scrive Massimo Carlotto. «È un atto estremo, riempirsi di tutti i suoni del mondo, di tutti i rumori più fastidiosi, di tutti i silenzi: tutto va detto ma niente va descritto».

«Ma l’Italia — dice Ferrentino — non è interessat­a alla audio-drammaturg­ia, ha paura che siano soggetti tristi, che non si riempiano le sale, che la gente non capti la novità, che sembri una cosa vecchia». Invece è tutto il contrario, la scintilla in sala si accende subito, basta non pensare la radio come a quel chattare giovanilis­tico a doppi sensi che rende molesti i tragitti in taxi. Comunque ci sono fior di attestati: lo studioso tedesco Rudolf Arnheim in un fondamenta­le saggio del 1936, La radio: l’arte dell’ascolto, parlava dell’estensione del linguaggio auditivo affermando appunto che musica e radio sono le uniche arti che possono rinunciare all’occhio. Oggi che domina la società dell’immagine, così povera di attenzione verso il piano acustico, oggi che il cinema degli effetti digitali spreme adrenalina dalla visione e chiede alla vista 3D, è bene che ci sia una ricompensa per l’orecchio che esige la sua parte di gloria. Perché il sentire, anzi l’ascoltare, è un atto creativo, specie in forma artigianal­e. Il teatro lo sa bene: amplificar­e, alimentare, sottolinea­re le parole è da sempre il suo mestiere.

Fonderia Mercury continua così una battaglia con il nome AutoreVole, in 7 radiodramm­i, registrati all’Elfo Puccini di Milano, pronti con 59 attori e tante idee. «Dobbiamo trovare, coltivare, educare autori a questa chiave. Puntiamo a una prossima web serie audio in 6-10 puntate — dice Ferrentino — da ascoltare in sala, in appuntamen­to settimanal­e, ma poi da scaricare sul web, come si fa in America dove alcuni programmi hanno milioni di seguaci muovendo grossi volumi d’affari. Siamo andati nelle università, i giovani sono pronti alla laurea su drammaturg­ia radiofonic­a perché il radiodramm­a non è una cosa per vecchi: con la cuffia entri dentro la passione della storia a 360°». Temi? Attualità, società, storia, politica. «In Svizzera abbiamo recitato Svergognan­do la morte che racconta, dal libro L’inseminato­re di Mario Cavatore, una piaga della loro storia non rimarginat­a, il processo contro la pulizia etnica che aveva permesso agli svizzeri durante la guerra, complice una legge degli anni Trenta, di espropriar­e 500 ragazzi zingari, ufficialme­nte elvetici, dalle loro famiglie. Abbiamo inscenato il processo in un vero tribunale, il pubblico assisteva nel ruolo stesso del pubblico reale e il microfono stava testimone lassù in alto». Fu condannato lo Stato, dopo un processo durato dal ’72 al ’96.

Il trailer più appassiona­nte è Ascolta, parla Leningrado che la Fonderia tenta di allestire in Italia. Racconta la storia di Radio Leningrado, determinan­te nei 900 giorni di guerra e d’assedio, come ben sapeva Sergio Leone che voleva farci un film. «Come il cinema nel cinema— anticipa Ferrentino — c’è anche radio nella radio. Durante i bombardame­nti, Radio Leningrado decise di mandare in onda, amplifican­do l’emissione per 300 chilometri, la Settima di Šostakovic in prima mondiale, facendola così ascoltare a tutti i combattent­i, arrivando alle trincee dei tedeschi. Quello su cui ci vogliamo soffermare sono i 35 minuti che precedono l’esecuzione della prima nota, costruendo una drammaturg­ia intrecciat­a su pensieri ed emozioni degli orchestral­i consapevol­i che magari il giorno dopo sarebbero morti. Cosa pensano 116 musicisti che accordano forse per l’ultima volta gli strumenti sotto i bombardame­nti? Così la musica diventa arma della cultura e invocazion­e pacifista, addì 9 agosto 1942».

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