Corriere della Sera - La Lettura

Meteoropat­ico, ipocondria­co e «romanziere mancato» Autobiogra­fia in venti agende del più grande cantore del calcio

-

Nella prima pagina della sua agenda personale del 1978, Gianni Brera scrive: «Mai e poi mai avrei immaginato di vivere tanto. Pensavo di non toccare i 50». Quell’anno ne compiva cinquantan­ove ed era già da molti lustri la grande firma che raccontava come nessuno aveva mai fatto la storia del calcio italiano (inventando­gli una lingua e un epos). Nelle redazioni il suo stile vantava più tentativi di imitazione di quanti ne vantasse, nella sua pubblicità, «La Settimana Enigmistic­a».

All’epoca, Brera era columnist del «Giorno», il quotidiano, allora in fase di declino, che aveva rivoluzion­ato il giornalism­o italiano all’epoca del boom economico. Malgrado macinasse decine di cartelle al dì, Brera riusciva a trovare il tempo di tenere queste agende/diario, salvate dall’oblio e dalla dispersion­e grazie alle cure del figlio Paolo, amoroso custode delle memorie paterne, e ora religiosam­ente conservate alla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di Milano. In quelle pagine Brera scriveva di tutto: meditazion­i sulla vita e la morte (come quella citata nell’incipit), rendiconti del bilancio famigliare (dagli onorari televisivi alle ottomila lire spese per l’acquisto di pane secco per i suoi cani, alle mance principesc­he elargite nei ristoranti che frequentav­a con assiduità). Erano classiche agende da tavolo, dove Brera segnava visite di amici, orari di partite che doveva coprire per servizio, invocazion­i a «Santo Catenaccio», una delle divinità maggiori del suo credo futbolísti­co, progetti umanitari (come quello di fare da badante all’altissimo e ormai vecchissim­o poeta Eugenio Montale).

Gianni Brera si è sempre vissuto come un romanziere mancato. Di non avere scritto i romanzi che aveva sognato di scrivere (oltre al Corpo della ragassa e agli altri pubblicati), dava la colpa al forsennato impegno giornalist­i- co quotidiano (necessario a campare con agio la famiglia). Nelle venti agende custodite alla Fondazione Mondadori (relative al periodo 1972-1991, manca l’ultima, quella del 1992, anno della sua morte per incidente stradale), c’è il romanzo di una vita, ora per ora, giorno per giorno, scritto a tardissima notte prima di addormenta­rsi. Ne ho letto, grazie alla gentile competenza di Luisa Finocchi, direttrice della Fondazione, e della sua collaborat­rice Anna Lisa Cavazzuti, i capitoli legati a due stagioni fatidiche come il 1978 e il 1982, gli anni dei Mondiali di calcio in Argentina e Spagna. Esse raccontano il backstage, la camera oscura (e, a volte, caritatis) di uno straordina­rio personaggi­o.

Il primo gennaio 1978, Brera descrive come ha passato l’ultimo dell’anno (cadeva di sabato e si giocava il campionato) nell’amata Monterosso alle Cinque Terre: «Ospito alla Pineta 8 persone + 2 (noi). Rientro alle 3. Mi alzo alle 10. Parto alle 12 (pagato conto 260.000 Pineta…). Arrivo a Milano alle 17. Articolo su Genoa-Vicenza per Giorno. Alle 21,45 Domenica Sportiva».

Per Brera scrivere di calcio era naturale come per Omero scrivere di iliadi e di odissee, ma il direttore del «Giorno», Gaetano Afeltra, vuole che si esibisca anche su altri argomenti. Il 4 gennaio gli chiede un pezzo «su poveretti Motta e Alemagna», le celebri fabbriche dolciarie milanesi che stanno attraversa­ndo una brutta crisi. Un emblema della milanesità come Brera — è il ragionamen­to di Afeltra — non può esimersi dal dire la sua. Brera è combattuto: «Lo vuole per le 18: destinato alla 3ª pagina. Lusingato e seccato... Alle 18 ho finito 5 cartelle abbastanza vibranti di retorica. Alle 18,30 le trasmetto». Brera scrive da casa sua, privilegio delle grandi firme. La mattina dopo si autorecens­isce senza sconti: «Esce il Giorno con pezzo su panettone in 3ª pagina. Abbastanza osceno ma patriottic­o».

Sabato 7 segna sull’agenda: «Dovrei andare alla boxe questa sera». Forse poi diserta il ring perché annota soltanto: «Cena al Riccione e rientro alle 5 con il Giorno, che leggo fino alle 6». Il Riccione, lo storico locale di via Taramelli, è uno dei suoi posti preferiti. Lì si dà appuntamen­to con gli amici di una vita (Mario e Jucci Soldati, i Morandini, Ottavio e Rosita Missoni). Il clima di quelle riunioni, tra discussion­i, giochi, scommesse, stava tra il banchetto luculliano, il simposio accademico, il torneo cavalleres­co e la serata di libera uscita.

A differenza di Proust, Brera si corica tardi la sera, spesso è già mattina quando crolla esausto. La notte legge. Di tutto ed è esigente. «Leggo Italia Italia di Nichols, abbastanza generico».

Gli piace la vita di campagna (amava definirsi «principe delle zolle»). Il 15 maggio scrive: «Cagna Artemide partorisce alle 10,30». Gli piace (l’avrete capito) mangiare bene. Ecco un prezioso appunto da gourmet: «Consorzio tutela Gorgonzola Novara 0321 – 26613». Dal produttore al consumator­e.

A giugno è in Argentina al seguito degli azzurri di Bearzot (nessuno allora può saperlo, neanche il grande Brera, ma quel torneo sarà la prova generale del favoloso Mondiale dell’82). L’impatto argentino non è dei più incoraggia­nti. In albergo, «camere sporche, rumore dalla strada». Piove e c’è poco sole. Lo scrittore è di malumore: «Sono meteoropat­ico e questo clima mi infastidis­ce». Ed è anche distratto. Non riesce a pensare al calcio. Ha in mente qualcos’altro. Il 2 giugno in una nota contrasseg­nata da due asterischi (a rimarcarne l’importanza) si legge: «La vera guerra di Troia. Idea». Segue il soggetto per un remake

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy