Corriere della Sera - La Lettura
La primavera dell’autunno, un girotondo
Tanti sessantottini in cerca di una loro vecchiaia: il romanzo corale di Lidia Ravera
Quante sono le vecchiaie che ci aspettano? Quella allegra, multietnica e impegnatissima di Vicky, quella malata e fragile di Anna, quella buzzurra e danarosa di Mauro? O la pace dei sensi di Domenico che si risveglia nell’adulterio, o ancora l’ascesi scorbutica del santone Peter? Oppure quella identica alla giovinezza — solo con un pizzico in più di orgoglio e molto, molto più denaro — della protagonista Costanza?
Un romanzo felice, il nuovo Il terzo tempo di Lidia Ravera (Bompiani), che racconta in modo imprevedibile una storia comune a molti: il sogno di ritirarsi in campagna in tarda età.
Ma quello che non è comune è il bell’intreccio della storia: intanto, la protagonista Costanza, anni 64, non ha mai sognato, nemmeno per sbaglio, di ritirarsi in campagna. Lo ha fatto suo padre, già ex comandante partigiano, nonché notissimo dirigente del Pci, che in occasione di una delle svolte del partito si è sdegnato della vita politica e si è dato, segretamente, a investire in Borsa; e tanto ha investito da diventar milionario, ritirandosi in un vecchio ex convento per un’ultima stagione di pace.
La storia inizia quando il pa- dre di Costanza muore, lasciando tutto alla figlia ex docente universitaria ed ex fricchettona, anche lei ora divenuta signora borghese della Roma bene. Oppure no, per niente. Già, perché Costanza, che in gioventù ha poco sopportato il padre «intellettuale organico» e anzi ha manifestato simpatie per la sinistra extraparlamentare finendo in una comune di fricchettoni, in fondo si sente ancora un po’ hippie. Inquieta, perlomeno, lo è di sicuro. E accarezza il sogno di trasformare il convento dismesso in quella che definisce — ma varie saranno le esilaranti definizioni nel libro — una «co- mune di gente vecchia» o una «Woodkstock geriatrica».
Tra l’utopia e la realizzazione, però, come sanno gli ex sessantottini, la distanza è enorme, e niente è prevedibile in questo romanzo che diventa a poco a poco sempre più corale e popolato di giovani: complici una ventenne neomamma inglese, un figlio reduce da una sorta di Erasmus sentimentale all’estero (ma crescerà), un ex marito, Domenico, che sembra gettare acqua su tutti i fuochi e invece sarà spesso il deus ex machina della storia. Costanza faticherà non poco a radunare i comunardi del kibbutz giovanile, divenu- ti adulti bizzosi o esausti, o gravemente malati, tra tragedie e gioie, ritorni di fiamma e miracoli; salvo poi tenere tutti (anche il lettore) con il fiato sospeso, per una follia finale.
Interessante il modo in cui Lidia Ravera racconta,con pochi tocchi disseminati qua e là, il destino di molte storie di contestazione, il riflusso, l’approccio con il compromesso nei decenni successivi, ma anche la fedeltà di fondo a una serie di valori alti e irrinunciabili, che tra libertà sentimentale, dignità umana, laicità e vera comunanza, illumineranno l’epilogo. E davvero contagiosa l’energia della protagonista, un’avventura primaverile nell’autunno della vita.