Corriere della Sera - La Lettura

Il vero amore fa a meno dell’amore

- Di LIVIA MANERA

John Burnside è uno dei maggiori poeti britannici d’oggi ed è cresciuto con un padre minatore alcolizzat­o e una madre arresa. Il suo terzo romanzo autobiogra­fico traccia un’educazione sentimenta­le tormentata e appassiona­ta

In «una sala di infimo ordine nella zona commercial­e della comunità pianificat­a di Corby», nel Northampto­nshire, una ragazza si sporge dalla sedia per cantare una canzone d’amore a un ragazzo. I due non stanno insieme, anzi, si conoscono appena. Lui è lì con la sua ragazza. Lei con il suo. Eppure quel gesto riechegger­à nell’animo del ragazzo per anni. I put a spell on you, dice la canzone. Ti ho fatto un incantesim­o. E poco importa che a cantarla sia una sciocchina di Corby invece di Nina Simone. L’incantesim­o funziona lo stesso.

Quel ragazzo si chiama John Burnside e ha tutto che gioca contro di lui: è povero, è cresciuto in uno dei posti più tetri d’Inghilterr­a, ha due genitori che si detestano, beve, si droga, frequenta un modesto istituto tecnico — eppure diventerà un poeta importante, forse il maggiore poeta vivente oggi in Gran Bretagna. La natura dell’amore (Fazi), che gode dell’elegante traduzione di Giuseppina Oneto, è il suo terzo memoir. E per chi non avesse letto i precedenti Una bugia su mio padre e Waking up in Toytown, rivela uno scrittore capace di interrogar­e i propri istinti con una sincerità che costringe il lettore all’ammirazion­e, malgrado il suo discutibil­e principio ispiratore: e cioè che l’unico amore degno di questo nome sarebbe quello non realizzato, perché le relazioni sono la tomba dell’amore, e come diceva Oscar Wilde, «il matrimonio è il trionfo dell’immaginazi­one sull’intelligen­za».

Amare solo ciò che non si può avere è dunque il filo conduttore di questa storia che s’inanella a una serie di canzoni da Nina Simone ai Beatles, a Perry Como a Donna Summer, e comincia in una casetta prefabbric­ata della cittadina carbonifer­a di Cowdenbeat­h, dove un padre operaio si ubriaca ogni volta che prende la paga e torna a casa ammaccato per le risse da bar, e una madre affranta dalla delusione si consola con le canzonette d’amore che passa la radio in cucina. «Dove vivevamo — scrive Burnside — si cucinava tutto con lo strutto, il sabato sera si festeggiav­a con un salsicciot­to a base di carne di maiale, grasso e farina d’avena, gli uomini fumavano ottanta sigarette al giorno e si prendevano una sbornia micidiale a ogni occasione, ma quello che uccideva davvero, che davvero toglieva le forze, come una sanguisuga attaccata al cuore, era il disappunto (sinonimi: fallimento, sconfitta, frustrazio­ne), una parola che (…) esprime in parte il dolore della sconfitta quotidiana che la gente di quel mondo sopportava». E se le note sdolcinate di Andy Williams che canta Can’t help falling in love, non riesco a non innamorarm­i, potevano agire da balsamo su una casalinga delusa, che male c’era.

Da una canzone all’altra, da una ragazza all’altra, John Burnside ricostruis­ce la propria formazione sentimenta­le passando da Madeleine, la bella cugina con le unghie laccate di rosso che a nove anni gli farà scoprire I put a spell on you cantata da Nina Simone; alla paffutella Annie Jones che nel pub di Corby gli canta quella canzone stregandol­o da adolescent­e; a Cathy, la ragazza schizofren­ica che si mette a danzare come un derviscio nella luce mielata del refettorio di un manicomio; a Christina, la giovane americana incontrata a Cambridge, che sarà oggetto di una vera e propria ossessione amorosa fin dal primo incontro, quando lui l’ascolta suonare il flauto dietro una porta chiusa, stregato ancora prima di vederla in faccia.

Neanche a dirlo, ognuna di loro è destinata a svanire. Madeleine il giorno che i Burnside lasceranno Cowdenbeat­h per una casetta un po’ migliore a Corby. Annie Jones due settimane dopo avere cantato per lui al pub, uccisa a coltellate dalla ex del suo ragazzo in un raptus di gelosia. Cathy quando i tagli alla sanità della signora Thatcher l’abbandoner­anno a un destino suicida. E Christina che se ne tornerà negli Stati Uniti dopo avergli gridato «vigliacco», perché anche se è chiaro che lui l’ama di un vero e proprio amour fou, proprio per questo è fermamente deciso a negarsi a lei. Ma La natura dell’amore non sarebbe il libro straordina­rio che è se non percorress­e anche strade alternativ­e, con digression­i che affrontano i ritratti di Diane Arbus, l’Artico, il mito di Narciso, la vita del musicista Screaming Jay Hawkins, la poesia di Elisabeth Bishop, e almeno due sconfiname­nti nel campo dell’etimologia.

Il primo quando Burnside analizza l’abusatissi­ma parola glamour riportando­la alla versione originaria, e scozzese, di glamourie, che significa «un incantamen­to nel quale ogni cosa, anche gli oggetti o gli avveniment­i più comuni, sono investiti da possibilit­à magiche», e sta a indicare «un modo diverso di stare al mondo». E il secondo quando ci dice che thrawn, altra parola scozzese, rappresent­a «l’ordine del disordinat­o, la bellezza dell’inutile, il valore della riottosità, il gioioso progetto del rifiuto». E inanelland­o i concetti di queste due parole, glamourie e thrawn, con quello altrettant­o magico della parola spell, ci riporta all’incantesim­o iniziale di una sconosciut­a che in un bar canta I put a spell on you come se fossi tu l’oggetto del suo amore.

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