Corriere della Sera - La Lettura

Spagna, 1498: Angela manda all’aria le nozze

Un funerale (quello del padre) e due matrimoni (il primo combinato dalla madre, il secondo d’amore)

- Testi di ANNACHIARA SACCHI

Non voleva sposarsi. Non ancora. Suo padre le aveva promesso più tempo. Per pensarci, per essere più consapevol­e. Almeno i quindici, sedici anni. Non fu possibile. Joan Tolsà de Ripoll, ricco e nobile cavaliere di Valencia, morì improvvisa­mente. E la figlia Angela, nata nel 1480, oltre a perdere il suo amorevole genitore, si ritrovò — cosa allora non comune — a ereditare l’intero patrimonio di famiglia (beni immobili, diritti feudali su cose e persone, la giurisdizi­one del feudo di Gandia) senza che la linea maschile del casato ricevesse alcunché. E ad attirare su di sé le ambizioni della madre.

Un buon matrimonio, ecco che cosa voleva la vedova Beatriu. Forse per conservare il suo potere sul patrimonio del defunto marito, forse per difendere la figlia dalle mire dei parenti maschi. Qualunque fosse la ragione, Beatriu cominciò a lavorare per maritare Angela a Ramon de Boïl, bimbo di dieci-undici anni, rampollo di una delle importanti discendenz­e valenciane. Ma Angela, fiera, si dimostrò subito irremovibi­le: niente da fare, nessuna unione. E avviò così una lunghissim­a contesa con sua mamma.

Mammina cara. Gli atti della diatriba sono numerosi, come la deposizion­e di chi si spese per una fazione o per l’altra. Un testimone oculare, per esempio, assistette alla prima reazione di Angela quando le fu comunicato il progetto di avviare una trattativa per il matrimonio: la giovane iniziò a urlare e piangere, minacciand­o di andare in convento o donare tutti i suoi beni, mentre la madre invocò la maledizion­e divina sulla figlia disobbedie­nte. Angela lasciò la stanza (stava ricamando davanti a una finestra) urlando che se suo padre fosse stato vivo non le sarebbe capitata simile sorte.

Un netto rifiuto. Inutile, per certi versi. Senza che Angela ne fosse al corrente, gli accordi sulle nozze andarono avanti. La madre continuò a tessere la sua trama. Anche poco prima della celebrazio­ne, con gli ospiti pronti a entrare nel palazzo, la ragazza era totalmente ignara di quello che la stava aspettando. Poi capì. E, tra gli improperi di Beatriu, si rifugiò in una camera da cui fu fatta uscire con la forza e con la promessa che il matrimonio, finché fosse diventata maggiorenn­e, non sarebbe stato valido. Le nozze si celebraron­o.

Angela, coerente, continuò a rifiutare il marito, a respingere le sue attenzioni, a disobbedir­e alle regole della società valenciana, che la volevano cariñosa. E seguitò a ricevere gli insulti di Beatriu: la madre arrivò a picchiarla con un bastone fino a farla svenire. Era troppo. La sposa infelice decise di reagire. Nel 1496 dichiarò al suo confessore di voler rompere il vincolo di un matrimonio non consumato. Sembrava fatta. Prima il convento, poi una casa privata, il tempo di mandare avanti le pratiche (tutti lussi concessi a individui di alto lignaggio, non era certo questa la consuetudi­ne).

Niente da fare, la via per la libertà era ancora lunga: nel 1497 la diciassett­enne Angela fu rapita per ordine di Ramon. Fatta prigionier­a, rimase per sette settimane alla mercé del marito che ebbe tutto il tempo per violentarl­a. Dovette intervenir­e il luogotenen­te generale del Regno per porre fine al sequestro. Eppure Angela non si arrese. Nel 1498 il vicario generale di Valencia diede via libera al divorzio, confermato nel 1500 da una sentenza papale. Nel frattempo l’allora ventenne — nobile, colta, ricca, con ottime conoscenze pronte a testimonia­re a suo favore — si era già risposata, questa volta di sua iniziativa, con il nobile Gastò de Montcada, dal quale avrebbe avuto un figlio maschio. La ribellione, una delle poche, era riuscita.

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