Corriere della Sera - La Lettura
Firenze, 1393: le due sorelle spose a 15 anni
Bartolomea ebbe quattro figli in sette anni (nessuno sopravvisse) e morì a 22. Sandra si ritrovò vedova con la dote dimezzata
Nel trattato Le Ménagier de Paris del 1393 un uomo molto anziano spiega alla giovanissima sposa come diventare una capace donna di casa, in grado di amministrare la vita domestica e prendersi cura del marito, placandone la rabbia in ogni momento, accudendolo con fedeltà come un cane ama il suo padrone. E soddisfacendone tutti gli appetiti. Ecco i compiti di una moglie. A questi si attennero, quasi alla lettera, Bartolomea e Sandra, sorelle del fiorentino Giovanni di Pagolo Morelli, vissuto tra 1371 e 1444. Abile mercante e uomo politico che ci ha lasciato un’importante testimonianza sulla vita della capitale medicea e dei suoi abitanti.
Povere ragazze. Partiamo da Bartolomea: bionda e molto bella, capace di leggere e scrivere, cantare e danzare, benevola, allegra e costumatissima. Peccato che tutte queste virtù a poco siano servite: come scrive Giovanni nei Ricordi (che iniziò a redigere nel 1393), a quindici anni la splendida Bartolomea, mani bianche «tanto bene fatte che pareano dipinte pelle mani di Giotto», fu data in moglie a un uomo molto più vecchio, membro di una «famiglia sconcia», numerosa e litigiosa. Un inferno. Sette furono gli anni del suo matrimonio, quattro i figli che la giovane donna partorì. Nessuno sopravvisse, l’ultimo morì insieme a lei, ventiduenne di grandi speranze e crudele destino. Una strada segnata alla quale mai si ribellò. Proprio come doveva fare una donna medievale, docile signora di una casa non sua, serva tra quattro mura, pronta a partorire di continuo, a sopportare tradimenti senza battere ciglio.
Vita comune delle giovani fiorentine (e non solo) di estrazione borghese, merce di scambio per matrimoni fruttuosi e alleanze tra famiglie, destinate alla vita domestica — letteralmente —e, a differenza delle coetanee aristocratiche, con pochissimo margine di autonomia. Educate alla remissività, non alle belle lettere. All’onestà, non alla raffinatezza culturale. Abituate a tenere gli occhi bassi, a essere sempre accompagnate, anche in chiesa, a coltivare la paura: di essere mal giudicate, di parlare troppo, di essere additate come cattivo esempio. Di essere portatrici di «mala fama» e quindi di non poter contrarre un buon matrimonio. Di essere maltrattate o ingannate, come successe a Sandra.
L’altra sorella di Giovanni di Pagolo Morelli si sposò a quindici anni — oltre i sedici era già un’età matura e a rischio zitellaggio — con Iacopo di Zanobi Arnolfo, speculatore rampante che per fare affari investiva denaro non suo. Della moglie, appunto. Sandra aveva portato alla famiglia del marito un tesoro — una dote di 1.500 fiorini, cifra altissima per l’epoca — ma l’educazione di una giovane borghese fiorentina del XIV secolo prevedeva un’unica regola: obbedienza. E quando capitava che Iacopo entrasse in casa d’improvviso, accompagnato dal notaio e da testimoni per estorcerle denaro, la docile Sandra — nonostante lo ritenesse un errore — acconsentiva a ogni richiesta. Il marito insisteva e lei chinava la testa: di volta in volta accettava di cedere una (sua) proprietà o di impegnarne un’altra. I risultati, devastanti, si videro presto: Iacopo morì e a 31 anni Sandra si ritrovò vedova, con un figlio dodicenne e con la dote quasi dimezzata (era scesa a 800 fiorini) per colpa dell’incauto marito e dei suoi business disastrosi.
E poco importava che la legge proteggesse il diritto sulle doti, e che quel denaro dovesse esserle restituito per intero: con quello che le rimase, Sandra non potè fare altro che acquistare «una casetta triste e due poderetti» dove vivere con il figlio. A tutto questo era servito obbedire.