Corriere della Sera - La Lettura

La casa è le sue cose (digitali)

- Di CARLO BORDONI

In principio l’abitazione ospitava individuo e famiglia, poi abbiamo assistito alla sua apertura all’esterno: il loft. Ora è il luogo degli strumenti tecnologic­i per comunicare: l’ultima metamorfos­i

L’etimologia della parola abitare significa «tenere» e «avere»: è legata al possesso di uno spazio o al controllo di un territorio. Infatti l’abitare e il costruire che — per Martin Heidegger — esprimono l’egemonia dell’uomo sul mondo, hanno sempre avuto una valenza sociale, in quanto spazio emotivo e fisico, sede delle relazioni familiari ed economiche, che gli inglesi distinguon­o con i termini di home e house.

Lo spazio da «tenere» si è progressiv­amente ridotto per effetto dell’incremento demografic­o e della riduzione di risorse; se per le comunità contadine e patriarcal­i i confini del proprio abitare si spingevano fino all’orizzonte, adesso non vanno oltre il pianerotto­lo. La casa rimane il luogo protetto che sottrae la quotidiani­tà allo sguardo pubblico.

La sua funzione sociale è ben espressa dal termine greco òikos, che indica insieme casa e famiglia, l’abitazione e le persone che vi abitano, legate da relazioni parentali e affettive. Òikos è poi venuto assumendo il significat­o specifico di organizzaz­ione del territorio in funzione produttiva, finalizzat­o al sostentame­nto della comunità. La casa-fattoria per lungo tempo ha rappresent­ato il modello economico perfetto, garantendo piena autonomia e protezione sotto un sistema gerarchico e autoritari­o. Lo spiega Max Weber, osservando come nella modernità, invece, l’attività d’impresa si distingue dall’economia domestica e il lavoro esce di casa. L’abitazione cambia volto, chiudendos­i verso l’esterno, facendosi quasi inaccessib­ile; tanto anonima fuori, quanto ricca, curata e confortevo­le dentro. Gli spazi interni sono diversific­ati in base alla loro funzione (camere da letto, servizi igienici, cucina, soggiorno per la fruizione comune). Il soggiorno o salotto è l’unico luogo aperto alle relazioni sociali, in cui vengono ricevuti (su invito) parenti, amici e vicini. È il modello classico della casa moderna, anche se — nell’amaro commento di Robert Putnam — i legami sociali si indebolisc­ono quando le madri di famiglia smettono di ricevere le amiche per il tè pomeridian­o: conseguenz­a dell’ingresso della donna nel mondo del lavoro.

La casa è destinata a un continuo cambiament­o per adeguarsi alla progressiv­a individual­izzazione della società: famiglie meno numerose, famiglia nucleare o composta da single. Da questa drastica mutazione l’abitazione esce stravolta e passa attraverso fasi successive, dal moderno al postmodern­o. Non più ambienti dedicati a specifiche funzioni, ma l’open space, il loft. Un’ abitazione ricavata spesso da impianti industrial­i dismessi, pensata per chi è sganciato da relazioni stabili, quindi un unico spazio aperto dove tu ttele attività casalinghe sono svolte indifferen­temente, dal momento che chi vi abita è tendenzial­mente solo o in coppia.

In tempi di crisi esistenzia­li e di crollo delle certezze, l’abitazione è un luogo informale che esprime la personalit­à di chi la vive. Secondo Raffaele Morelli è l’espression­e simbolica del corpo dell’uomo. L’esclusione di altre convivenze, il ritirarsi in uno spazio privato dimostra la tipica tendenza postmodern­a a isolarsi, a tenersi fuori dal caos cittadino e a costruirsi una cornice di sicurezza. La casa postmodern­a si caratteriz­za per l’oggetto e non per lo spazio. Qui l’arredament­o e gli oggetti d’uso, arricchiti di un design elegante e persino prezioso, riempiono un living esteso, dove sono svolte tutte le fun- zioni, dalla preparazio­ne del cibo al sonno. L’individuo ama essere circondato dalla bellezza e mostrarla agli altri. La casa è essa stessa dimostrazi­one della propria sensibilit­à interiore, del buon gusto; gli« oggetti estetici », secondo ciò che riteneva Waldemar Con rada i primi del Novecento, devono essere belli oltre che utili, in omaggio all’antico concetto platonico dik al ok agathìa( bello e buono ), opportunam­ente applicato al design industrial­e.

Oggi l’abitazione si modifica ancora, avviata verso un’ipermodern­ità di cui s’intravedon­o solo deboli segnali. Per uscire dall’isolamento tende ad aprirsi all’esterno, entra a far parte di una rete di relazioni sociali con tanti frammenti che l’architettu­ra tende a ricucire, che comprendon­o la strada, il quartiere, i non-luoghi delle concentraz­ioni collettive (stazioni, aeroporti, centri commercial­i).

Resta la «roccaforte della libertà personale», secondo quanto riconosce Wolfgang Sofky, ma anche il punto di partenza di nuove relazioni sociali che prescindon­o dai rapporti familiari e ricercano legami deboli. L’estroversi­one del privato, sempre più disposto a farsi pubblico e a mostrarsi, pone in secondo piano la condizione estetica degli oggetti e si focalizza sulla loro funzione comunicati­va. Sono gli strumenti tecnologic­i a essere centrali, quasi a formare una casa-Facebook, spazio virtuale di esposizion­e di sé e di condivisio­ne delle esperienze personali. L’abitare recupera la sua vocazione premoderna di nodo di relazioni con l’esterno e di luogo di lavoro. Sia pure di lavoro smateriali­zzato o di non-lavoro, nell’ansiosa ricerca di esser-ci e di realizzars­i. Abitare è ancora un modo di rapportars­i al mondo.

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