Corriere della Sera - La Lettura
Con il mio corpo di donna libero il flamenco (e la società)
Rocío Molina, spagnola, sarà l’ospite di punta della decima edizione del festival di Milano. «Mi piace mostrare le imperfezioni dell’essere umano. La bellezza è ovunque»
La ragazza prodigio davanti al cui camerino si inginocchiò, una sera al New York City Center, un entusiasta Baryshnikov è oggi una bailaora carnale che reclama sul palcoscenico l’orgoglio di essere donna. Rocío Molina (Malaga, 1984), artista associata del Théâtre Chaillot di Parigi, è l’ospite di punta della decima edizione di MilanoFlamencoFestival diretto da Maria Rosaria Mottola, in arrivo al Piccolo Teatro Strehler il 1° luglio con la prima nazionale di Caída del Cielo, suo ultimo spettacolo.
Rocío, l’idea di un angelo-donna caduto negli inferi dell’istinto rimanda a un femminile diabolico. Porta in scena il suo vissuto o fantasie astratte?
«La forza di questo spettacolo parte dalle viscere della donna, in particolare, dalle ovaie. In genere, rappresento ciò che passa dal mio corpo e viene poi filtrato da esperienze, riflessioni, emozioni che provo o che sono in procinto di scoprire. Non c’è separazione con i personaggi, io sono un’unica cosa con la mia arte».
Non teme di esplorare il corpo femminile anche attraverso la nudità, tabù per il flamenco. È per lei mezzo di verità artistica, provocazione, desiderio irrefrenabile di libertà?
«A volte è l’opera stessa che ti parla e indica il cammino da seguire affinché il risultato sia rotondo, completo. La nudità non è una provocazione, nello spettacolo ci sono momenti più graffianti. È piuttosto qualcosa di fragile, come l’origine di una donna appena nata. Qualcosa di cui bisogna prendersi cura. Mi piace mostrare le imperfezioni dell’essere umano, le sue paure. È qualcosa che il mio corpo rappresenta molto bene visto che non corrisponde ai canoni di perfezione imposti dalla società. Se fosse così, per me non avrebbe senso. Mi piace difendere l’idea che la bellezza possa essere ovunque e offrire libertà di pensiero e di gusto».
Ritiene che la tradizione del «baile» debba essere sferzata da una ventata di dissacrante trasgressione più consona alla danza contemporanea?
«L’arte deve seguire il suo corso ed evoluzione naturale, guardare avanti e stare al passo con i tempi. Non bisogna per forza annullare la forma più classica, solo capire che l’arte deve essere viva, non scaduta, rispettando la sua essenza».
Nello spettacolo c’è un esplicito riferimento all’angelo caduto della «Divina Commedia». Ci sono anche citazioni pittoriche?
«Quello più evidente è Il giardino delle delizie di Hieronymus Bosch, trittico dove si vede il percorso dal paradisiaco all’eccesso più vitale fino al dolore e alla morte. Ci siamo ispirati anche ai Capricci di Goya dove il grottesco-carnevalesco si mescola a immagini sovvertite e fantasmagoriche».
Nelle foto dello spettacolo lei appare in mezzo a simboli del quotidiano: fiori, cacciagione, salamelle, uva, pesci…Sono segni di una prigione casalinga per la donna? Vede le spagnole ancora imprigionate in ruoli subordinati?
«Vedo quelle immagini come un festino, un baccanale. Un eccesso di vita, allegria e confusione massima attraverso oggetti “vivi” o nature morte. Tutto ciò che rappresenta il godimento, allo stesso tempo, porta sofferenza e avvicina al dolore e alla morte. Non ho voluto rappresentare il ruolo subordinato della donna anche se è un tema forte contro cui la società continua a lottare. Riguardo a ciò, con la mia arte e la mia persona difenderò sempre l’uguaglianza fra gli esseri umani».
Nelle note di regia, viene anche citata la poetessa statunitense Anne Sexton e la sua «celebrazione dell’utero». Sessualità e voluttà, poesia, delirio creativo: in quali aspetti dell’opera della Sexton si ritrova? Definirebbe il suo flamenco «confessionale» come fu la poesia per la Sexton? Anne vinse il Pulitzer, lei a quale riconoscimento ambisce?
«C’è una scena dello spettacolo “schifosamente bella”, in cui ballo su una vernice rosso scuro che, proiettata su uno schermo, può ricordare una grande mestruazione. Ciò che mi connette alla Sexton è questa forte mancanza di pudore per poter parlare con naturalezza dell’intimità della donna, ovaie o utero, organi che danno la vita. Non aspiro a nessun premio, solo alla libertà di poter esprimermi con la danza, ascoltare il mio corpo, cercare nuove esperienze. Avvicinarmi all’amore e condividerlo sulla scena con buoni musicisti».
C’è un parallelismo tra l’immagine di «moglie e madre perfetta» verso cui si ribellò la Sexton e il conformismo del teatro tradizionale che lei sembra voler infrangere?
«La mia visione non riguarda solo il conformismo della donna, ma l’essere umano in generale, lo stesso per uomini e donne. Mi piace che le persone, at tr a ve rs o la mia danza, r i cevano un’emozione o vivano un’esperienza che li faccia uscire dalla loro zona di comfort, che li sorprenda o risvegli».
Qual è il potere del flamenco? Quale contributo può dare alla società?
«Il flamenco, come tutte le espressioni artistiche, apporta libertà e identità, radici, la cultura di un popolo o di una persona. Ci insegna l’amore condiviso, i valori che realmente hanno importanza. Ci rende persone migliori e più autentiche. E dovrebbe liberarci dalle paure».