Corriere della Sera - La Lettura
Tre mafie e ventisei clan tengono in scacco una provincia
Il questore-scrittore
Dal 28 aprile i Kalashnikov dei killer della criminalità organizzata foggiana hanno ammazzato otto persone: due a Foggia, due a San Severo, tre ad Apricena, una a Vieste e sul Gargano un uomo è scomparso dal 26 maggio senza lasciare traccia. Soltanto negli ultimi tre mesi c’è stata una vittima di mafia ogni dieci giorni, ma nessuno nel Paese ne sa niente.
Nella provincia di Foggia esistono tre mafie. Quella dei cerignolani, dedita per tradizione a eclatanti rapine a blindati portavalori e allo spaccio di stupefacenti. Poi la mafia del Gargano, cioè Vieste e altre località rivierasche, che controlla le estorsioni ai siti turistici e gestisce il traffico di droga. E infine la «Società Foggiana», la criminalità organizzata di Foggia e San Severo, due centri da 150 mila e 55 mila abitanti. È una mafia agguerrita, nata alla fine degli anni Settanta dalla Camorra di Cutolo ma dalla quale si è subito distaccata. La sua mafiosità è attestata da varie sentenze di condanna per l’articolo 416 bis del codice penale, e il giro d’affari è il consueto: estorsioni e traffico di droga. Ha fra le sue fila sicari pronti a uccidere, e l’ottanta per cento dei negozianti e dei professionisti di Foggia e provincia paga il pizzo. Ovviamente, l’economia della zona ne risulta strozzata.
A Foggia la movida pulsa dietro la Cattedrale e nei locali del centro, dove si trovano fianco a fianco una borghesia colta e onesti contadini che un tempo chiamavano «terrazzani», cioè lavoratori della terra. Ma è una città (e una provincia) sfregiata da rapinatori, ladri, scippatori e mafiosi. Se ne sa poco in giro perché nel foggiano non c’è un padrino che parla di «offerte che non si possono rifiutare», non ci sono anziani boss con la coppola che affiliano picciotti con rituali mistici. I foggiani usano il mitra, le notti sono scosse dai boati degli ordigni che esplodono davanti ai negozi di chi non paga il pizzo e le strade sono insanguinate dalle raffiche dei Kalashnikov. La gente ha paura perché la minaccia armata è sempre dietro l’angolo, e oltre il limite di provincia i nomi degli uomini onesti uccisi per non essersi piegati alle estorsioni, e ce ne sono, non li conosce nessuno. Per le forze dell’ordine e la magistratura non è facile lavorare in un clima in cui ogni apertura alla legalità espone alla vendetta mafiosa, eppure lo Stato nel foggiano c’è e opera bene, ne sono testimonianza le continue operazioni di polizia coordinate da procura e Direzione distrettuale antimafia e il costante impegno dell’istituzione prefettizia.
Ma per il Paese Foggia deve essere solo San Pio, spiagge, mozzarelle e nient’altro. Coste straordinarie, centri storici pittoreschi e, secondo le stime della procura nazionale antimafia, ventisei clan e novecento affiliati che tengono sotto sequestro questo patrimonio.
La lotta al crimine mafioso deve guardare avanti, non deve fermarsi al passato. Servono progetti sociali e politici, serve nuova linfa alle forze dell’ordine e alla magistratura. L’afflato che portò a combattere Cosa nostra oggi sembra appannato, è come se alcune parti del Paese fossero date per perse. I problemi di attualità sono immigrazione e Isis: sacrosanto, però si parla sempre meno di lotta al crimine organizzato. Le urla a favore o contro gli immigrati, d’altronde, portano sicuri consensi politici. In questo Paese non vogliamo altri eroi: per tenere alta la guardia basta una salda coscienza collettiva. E un giorno sarà la stessa gente della Daunia a rovesciare il piatto, ma dovrà farlo prima che le tre mafie foggiane si uniscano. Perché questa sarebbe non solo una catastrofe, ma una tragica sconfitta annunciata.