Latitudes

IN BICI SULL’ATLANTE

Otto giorni sui pedali, sette ciclisti, una guida locale,500 km e 9.000 metri di dislivello di pura mountain bike, all’insegna di un Marocco fuori dagli schemi.

- Testo e foto di Gianluca Bronzoni

Un noto geografo italiano, parafrasan­do un’idea alla base della cosmogonia greca, sostiene che la conoscenza della Terra è una mera illusione, in quanto si basa sempliceme­nte su un’immagine che di essa abbiamo creato: ovvero la carta geografica. La traversata in bicicletta dell’Alto Atlante marocchino è iniziata esattament­e con un fraintendi­mento logico di questo tipo: decidere su una mappa cosa fare, dove dirigersi, quanto pedalare, per poi accorgersi, durante il viaggio, di quanto questo tentativo di rendere “finito” lo spazio non avesse alcuna attinenza con la realtà delle cose.

E in sella si passa dalla carta geografica alla realtà del Marocco. Piccoli villaggi fatti di polvere e fango spuntano alla base delle prime montagne dell’Alto Atlante.Si pedala attraverso il Cirque du Jaffar: un’area nella parte est dell’Alto Atlante caratteriz­zata da gole scavate nella roccia. Il paesaggio diventa in un attimo magico, ed il primo single track in discesa è già carico di tutte le aspettativ­e che ognuno di noi ha riversato in questo viaggio: questa è forse la Terra vista dalla Luna?

Ma subito dopo il paesaggio cambia drasticame­nte: una fitta vegetazion­e fatta di boschi si alterna a verdi distese di prati. La varietà e l’eclettismo del paesaggio marocchino è una delle scoperte più inattese ed al contempo coinvolgen­ti del viaggio. Si continua a pedalare verso sudovest: passato il villaggio di Bouadel, il tragitto si trasforma in una continua alternanza di salite e discese fino alle gole dell’Assif Melloul che sono uno spettacolo per gli occhi per raggiunger­e poi la valle dell’ Assif Dunachale in un bike tour fatico e avventuros­o, ma carico di fascino.

Le emozioni non mancano mentre si sale al passo Tizi N’Ait che ricorda vagamente il paesaggio alpino italiano, immenso e grandioso. La popolazion­e locale è molto ospitale e una tappa porta il gruppo dei ciclisti in un piccolo villaggio berbero sotto lo sguardo sempre sorpreso e mai banale di un gruppo di bambini. L’incontro con i locali berberi ha forte impatto esistenzia­le e tra i numerosi villaggi attraversa­ti, la bici diventa uno strumento magico per un confronto fra popoli. La due ruote ha probabilme­nte il potere di democratiz­zare gli sguardi, rendendo i ciclisti più umani. Intanto il bike tour

prevede una lenta risalita al passo El Fugani (quota 3000 metri). Le salite si fanno a tratti tecniche e le montagne circostant­i si colorano di toni blu/celesti . Il caldo e la fatica pesano sulle gambe dei ciclisti, ma il viaggio continua verso le gole del Dade , dove la luce del tramonto dipinge e delinea ritratti di roccia. Sembra di essere su un altro pianeta. Il percorso continua fra un tratto di pianura e la salita massacrant­e al passo N’Tazazert a quota 2300 metri, mentre il paesaggio, prima quasi desertico, di un rosso vivo, si trasforma in una distesa di roccia nera.

Ci si sente goffi ed inermi al cospetto della montagna, mentre si stagliano in lontananza le porte di Bab N’Ali, creste di roccia rossa disegnate dal vento. Molto emozionant­e e coinvolgen­te il successivo tratto che porta

al villaggio di Ichazzoun N’Imlas che prelude alla meta finale lungo un sentiero in costa a strapiombo sul nulla se non qualche capretta guardata a vista da giovani e aitanti berberi.

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