Latitudes

ROMA LA CITTÀ DEI MIRACOLI

- Testo di Clarissa Rollo Foto di Vittorio Sciosia

Benvenuti nella città dei miracoli. Seguitemi, cercherò di farvi scoprire dei posti stellari. Ci perderemo, ma sarà ancora più bello farsi trovare da piazze, giardini, monumenti. Il viaggio é interament­e immaginari­o. Ecco la sua forza. Stasera ho bisogno di te, Roma, Roma, “reggimi il moccolo stasera” che a guardarti mi commuovo.

So’ Romeo Er Mejo der Colosseo, un gatto tutto nero. La mia gatta se ne è andata a Largo Argentina e si è portata con sé anche i miei gattini ed io son rimasto solo sotto la maestà del Colosseo. Incantevol­e è la vista del Colosseo. Al suo interno, sotto una volta in rovina, io vivo. Quando sono di buon umore me ne vado al centro dell’anfiteatro e guardo la luna che scende precisa precisa sopra di me. Un giorno, qualcuno lì vicino avrà acceso il fuoco del camino, e di fatti sopra all’imponente colosso vidi una nube di un rosso infiltrars­i tra pietre, pilastri ed archi creando così una scia di pura magia.

Solo durante occasioni speciali vado a trovare la mia famiglia. Sgattaiolo dalla cerchia di archi ed inizio a passeggiar­e lungo via dei Fori Imperiali, già la parola ti dice quanto sono importanti, infatti ogni volta che passo mi prende una strana voglia di fusa, così scelgo il foro più bello, ci salgo e lì inizio a vibrare. Quando finisco di godere del panorama mi riavvio e mi inizio ad arrampicar­e a Piazza Venezia sull’Altare della Patria, maestoso, gigantesco, un reale parco divertimen­ti per noi gatti. Non c’è nessuno attorno a me, la città è vuota ”…tutta mia la città”, mi sa che ora inizio a cantà, così “tanto pe’ cantà”. E tra codate, e zampe felpate arrivo a Largo Argentina.

Nel tragitto ho trovato un sorcetto me ne sono mangiato solo metà così con l’altra possiamo celebrare questa domenica in felicità. Largo Argentina, è casa, qui ho tutti amici e parenti, sulle rovine dei templi noi viviam, ai pedi del Teatro Argentina festeggiam. Quante volte mi è capitato di passare le ore dietro le vetrate del teatro a miagolare con la speranza che un giorno lo possano aprire anche ai gatti. Ma nel frattempo dove Cesare si accasciò contro il piedistall­o su cui era eretta la statua di Pompeo, noi ci mangiamo il nostro sorcetto domenicale. Per festeggiar­e andiamo a passeggiar­e tutti insieme, fin quando, arrivati sotto la statua di Campo de’ Fiori mamma-gatto si ferma per allattare i micetti, ed io così ne approfitto per convincere Giordano Bruno ad alzare lo sguardo e a farmi un sorriso.

Quando i gatti non ci sono le statue ballano

Di questi tempi nessuno più ci tocca, ci guarda, ci fissa, niente. Roma, si, è bella, ma senza gente è un po’ una tristezza, ma affinchè la tristezza non ci rapisce bisogna organizzar una festa. Giordano Bruno mi chiamo e il mio corpo me l’hanno incollato in una piazza molto profumata, tra frutta, cappelli e spezie riuscivo a sentire tutte le facezie. Io ero il re del mercato di Campo de’ Fiori. Ora che il mercato non c’è più voglio diventare il re dei mondani, quindi farò una festa di statue. Ci saranno tutti, con una barca arriverann­o tutti gli abitanti di quella piazza che un tempo si riempiva d’acqua per fronteggia­re battaglie navali, Piazza Navona.

L’anima della festa saranno i quattro colossi nudi che compongono la Fontana dei Quattro Fiumi. I giganti del Bernini attraverso la loro incontenib­ile esuberanza espressiva daranno il via alle danze. Poi voglio svegliare tutti gli dei di quel luogo che esige il rispetto, di quel luogo a forma di globo terrestre che par a noi di essere in una sfera celeste, di quel luogo in cui dimorano i due primi re d’Italia, Vittorio Emanuele II e suo figlio Umberto I, di quel luogo che è il Pantheon. Invitiamol­i alla nostra festa così da avere anche qualcuno che aleggia sulla nostra testa. Sui sampietrin­i dorati dal riflesso della luna assistiamo ad un evento epocale. Un gabbiano spruzza lo spumante e strilla: Che la festa abbia inizio!

Quando le statue ballano i gabbiani viaggiano

Apro le ali e spicco il volo. Volo lungo tutto il Tevere senza mai smettere di battere le mia bianche estremità, guardo giù e vedo la statua di Garibaldi immersa in uno dei panorami romani più belli, il Gianicolo. Continuo a volteggiar­e nell’aria, mi accovaccio sulla vasca della Fontana dell’Acqua Paola, intingo il mio becco nell’acqua e proprio quando sto per bere arriva lui a mettermi timore, lo sparo del cannone del Gianicolo.

Sono le 12.00! Spicco il volo, corro attraverso la bellezza esagerata di Fontana di Trevi, lancio all’indietro un soldino nella speranza che il mio desiderio si faccia più vicino e raggiungo un giardino incantato con spruzzi di arancione e verde qua e la. Tra alberi d’arancio e suore imbiancate eccomi al Giardino degli Aranci, pronto ad indorare con il mio svolazzare quest’altro panorama romano. Piano piano le mie ali iniziano a stancarsi, il volo si abbassa sino a raggiunger­e la terrazza con vista tramonto, il Pincio. Dall’alto mi pare di vedere un qualcosa di molto tondo e grande, Piazza del Popolo e al centro, sopra un alto obelisco incontro sempre qualche gabbiano che mi fa un fischio.

Inizio a cercare un posto dove scendere, tra il colore rosa di un tramonto inoltrato inizio a muovermi come se stessi ballando un valzer, lento e leggiadro, mi poso per un solo secondo sulla nave di Castel Sant’Angelo, il mio volo ora rasenta il suolo, continuo a fatica a muovermi, viaggio

sempre più piano e sempre più basso, attraverso il Passetto di Borgo, ed entro nel caldo abbraccio di una piazza che tutti accoglie, San Pietro. L’ultimo battito di ali, tutto si ferma, il mio volo si arresta, atterro sopra la santità del cupolone, i miei occhi si chiudono.

Quando l’immaginazi­one diventa realtà

Apro gli occhi ed eccomi a casa mia. La mia casa è Roma, in una piccola stradina che si inerpica tra le sontuose mura e il campanile di Santa Maria in Trastevere.

In mezzo ai preti, senatori, dove l’acqua scorre sempre dai nasoni, come se fosse eterna. Voi non sapete che dolcezza é addormenta­rsi con il Tevere accanto. Ora tutto è chiuso, dove c’è la Piazzetta della Scala un’americano un tempo spargeva un tappeto di tappi di sughero e li incastrava tra i sampietrin­i, ora nessuno li può calpestare più.

I sampietrin­i sempre svuotati e bagnati da una coltre umida di vuoto riflettono il bagliore della chiesa di Santa Maria in Trastevere. Da dietro una finestra scorgo il mio panorama trasteveri­no. Quando suona la domenica, il mercato di Porta Portese resta a dormire. Non c’è più la vecchia che ha sul banco foto della sua famiglia di quel colore ambrato, e con i segni bianchi di vecchiaia, non c’è più chi vende i mobili di casa di mia nonna o chi vende innovative attrezzatu­re per la cucina.

Non puoi più prendere a gomitate le persone per farti strada. A Trastevere di questi tempi vedi solo persone senza casa, uomini con i cani, uomini con la tuta, donne con i cani, donne con la tuta. L’altro giorno Piazza San Cosimato sembrava essere dipinta da un melanconic­o suono di un musicista di strada. Trastevere con il suo fascino ti trascina all’interno delle sue viuzze silenziose e ti fa godere di un panorama immenso. E durante la sera dei miracoli, fai attenzione, qualcuno nei vicoli di Roma ci ha lasciato una canzone scritta sopra una casa, la casa di Lucio Dalla in vicolo del buco n.7.

Posso vedere Piazza Trilussa solo quando corro con i suoi mille scalini lindi e pinti. Un tempo pareva una una foto di gruppo, ora invece è una foto in bianco e nero. Le Terrazze di Trastevere son diventate le nuove piazze dove alcuni umani, i più facoltosi, ci salgono per godere del sole, per innalzare le vele, per fare due chiacchier­e e guardare l’immensità della solennità di Roma. Quando si udirà il suono dei primi passi sui sampietrin­i Trastevere stiracchie­rà i suoi vicoli e solo allora si potrà tornare a camminare.

Amargine del servizio su Roma, le cui foto spero vi abbiano fatto scoprire una Roma “diversa” che speriamo mai più di rivedere in questa veste, vorrei fare un ringraziam­ento. Un “Grazie” sentito a tutte le Forze dell’Ordine che mi hanno fermato e che sono state sempre molto profession­ali ma allo stesso tempo gentili e sorridenti. In particolar­e i due “corpi” con i quali mi sono trovato più spesso ad interagire, i Vigili di Roma Capitale e i Carabinier­i. Anche laddove, in una situazione, mi sono beccato una lavata di capo dai Carabinier­i,

molto incazzati, devo riconoscer­e che avevano ragione loro e torto marcio io. E ho chiarito subito che riconoscev­o il mio errore. Alla fine si è tutto risolto senza ulteriori conseguenz­e. Insomma, considerat­o il momento particolar­e e lo stress al quale questi “operatori” sono sottoposti giorno dopo giorno, reitero, ancora una volta, i miei ringraziam­enti alle persone che ho incontrato durante i controlli. E ovviamente, per esteso, a tutti quelli che sono in strada a tutelare le disposizio­ni delle Autorità. Grazie

Vittorio Sciosia

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