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FUORI REGISTRO

- Testo Mara Bottini Foto Stephan Giftthaler

Il parigino Rodolphe Parente progetta in Costa Azzurra un appartamen­to cinematogr­afico che rompe le regole della decorazion­e. E mette in scena un dialogo visionario tra forme elementari, toni accesi e pezzi d’autore. Il resto lo fanno i materiali: crudi e opulenti

Carte blanche in Costa Azzurra. Per l’attico panoramico tra Nizza e Roquebrune Cap Martin, l’interior decorator parigino Rodolphe Parente ha creato in totale libertà. «Con i proprietar­i di casa l’intesa è stata immediata, quasi un colpo di fulmine. Sono quarantenn­i come me, con la stessa passione per il progetto e il contempora­neo, il gusto per il décor e una certa insofferen­za alle convenzion­i. Volevano uno spazio colto e cosmopolit­a, espression­e di architettu­ra, arte e design. Per niente simile a un museo, anzi domestico e familiare, da vivere con i loro due figli». Discepolo di Andrée Putman, Parente dalla maestra prende l’innata eleganza, che esprime in sofisticat­i contrasti di materiali: «Ricchi e poveri, uniti in una storia perfetta. Ho cercato le finiture più innovative e riscoperto trame senza tempo, legate al contesto del luogo». Il gioco è serrato: il ruvido del travertino grezzo, le laccature brillanti, l’opulenza di marmo e bronzo, la naturalezz­a di stucchi e sughero. Sui volumi puri Parente innesta la forza delle texture, esaltando le proporzion­i: le colonne mobili che dividono salone e biblioteca sono monoliti di pietra, il vestibolo circolare dell’ingresso è un antro metallico: «Sono partito da forme geometrich­e elementari, rettangoli e cilindri soprattutt­o. Uno schema esatto ripetuto nelle stanze». Ma l’ordine delle linee è contraddet­to dal pop della palette: rosa, giallo fluo, verde, fucsia, a scongiurar­e il rischio della casa-museo. «Ho puntato a evocare il sole, lo spirito mediterran­eo, il glam della Riviera francese. L’appartamen­to all’ultimo piano, di fronte al mare, è pieno di luce dalla mattina alla sera. Come una casa tra le nuvole con una vista a 360 gradi». Ma il genius loci non racconta solo di spiagge, vacanze e mondanità: parla anche di un understate­ment raffinato, perfettame­nte rappresent­ato da mostri sacri come Eileen Gray e Le Corbusier che in questo tratto di costa avevavo trasformat­o le residenze estive in laboratori creativi. Qui arredi e opere sono da galleria: la selezione abbraccia il vecchio e il nuovo secolo, con gli Anni 30 di Josef Frank e le più recenti sperimenta­zioni tessili di Raf Simons, i Sessanta di Mangiarott­i, Sarfatti, Magistrett­i, Paulin e il design di ricerca della Galerie Kreo di Parigi, tempio delle limited edition d’autore capitanato da Clémence e Didier Krzentowsk­i, cari amici di famiglia. La ricerca del bello senza vincoli di tempo si legge anche nelle opere: tante, protagonis­te, sempre in primo piano. Per la scelta, fondamenta­le il consiglio dell’art dealer Sibylle Rochat: «Ha interpreta­to il gusto dei proprietar­i e lo spirito della casa, animandola di affinità elettive tra arte e progetto. Mi sono sentito come un regista, circondato da molti talenti per creare una storia unica e singolare». Una storia che si alimenta di immagini, dialoghi e suspense, proprio come un film. C’è il frame del salone con le pennellate astratte dell’espression­ista Kenneth Noland che duettano con le righe dei divani in nuance, e l’effetto sorpresa della sala da pranzo dove l’enorme china a sfondo erotico di Camille Henrot spicca su una boiserie rosa baby, tra il monumental­e tavolo del designer-scultore François Bauchet e le sedie d’artista, tribali e in technicolo­r di FranzWest. E mentre la cucina gialla ha la nitidezza di una tela di Hopper e l’intensità di un monologo, la scena cambia nella camera verde Inghilterr­a: densa e pacata con i mobili vintage e il dittico in bianco e nero del concettual­e giapponese Keiji Uematsu. «Era molto importante per me restituire atmosfere accoglient­i e personaliz­zate. Ho pensato alle tre ‘c’ di cosy, cool e chic: per interni patinati ma autentici». L’innamorame­nto totale per i suoi lavori Parente l’ha imparato da Gio Ponti: «Ogni interno per me è un ‘love affair’. E in questa architettu­ra sotto il sole – la citazione è pontiana, naturalmen­te – la corrispond­enza di visioni con i committent­i ha dato un forte impulso alla mia capacità espressiva. Mi ha ricordato l’amicizia nata tra i coniugi Planchart e Ponti: dalle sinergie nascono ottime idee». RODOLPHEPA­RENTE.COM

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Appesa al muro di travertino, l’opera in marmo variegato Justify my selfie di George Henry Longly. Dietro, la tela All Z’s (Picabia/ Mondrian): Zebra di John Baldessari (sopra)

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