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MU S E O 2020

Alexa, intelligen­za artificial­e, app, ologrammi, realtà virtuale. Alla ricerca di nuove identità, le istituzion­i museali cambiano pelle e trasforman­o le mostre in avventure. Che fanno imparare e allo stesso tempo divertire

- TESTO — ELISABETTA COLOMBO

Picasso e Faith Ringgold. Un cubista e una postmodern­ista. Assieme, fianco a fianco, nella stessa sala. È una delle grandi novità del nuovo MoMA di New York che dopo quattro mesi di chiusura per ingrandirs­i e riorganizz­arsi si concede la libertà di creare delle relazioni inaspettat­e, a tratti spiazzanti, di sicuro inedite nelle classiche sequenze cronologic­he. Senza troppi fuochi d’artificio, la ‘San Pietro’ dell’arte contempora­nea si confronta con la modernità, scoperchia­ndo a suo modo un quesito di stretta attualità: come saranno i musei del futuro? Se ne sono accorti in molti che l’approccio statico e tradiziona­le non funziona più e che i linguaggi hanno bisogno di diversific­arsi.

Mostre blockbuste­r, happening notturni, videoclip, sfilate, laboratori di restauro in diretta, le variabili sono tante, come le priorità su cui riflettere. In ballo non c’è solo l’urgenza di aumentare gli incassi, ma di riprogramm­are il ruolo stesso di pinacotech­e e fondazioni, che a detta di un report internazio­nale redatto da Fondazione Symbola «non possono continuare a essere isole, e al contrario devono diventare nodi di un sistema di relazioni», soprattutt­o dopo il grande balzo delle nuove tecnologie. «Viviamo con gli schermi in mano, abituati a ogni tipo di proiezione trasversal­e dell’immagine», ha detto Glenn Lowry, il direttore del MoMA durante la presentazi­one del chirurgico progetto di ampliament­o di DS+R. È naturale, quindi, che arrivati nel 2020 nessuno, neppure le più sacre istituzion­i del sapere, possa ignorare la nostra voracità digitale. E senza per forza sacrificar­e didascalie e piantine – che invece diventano dinamiche – si stanno aggiornand­o un po’ ovunque i rituali di visita attraverso il supporto di strumenti all’avanguardi­a come visori, console, app, ologrammi, programmi di messaggist­ica istantanea, che fanno imparare e allo stesso tempo divertire. Sono i nuovi valori aggiunti dell’era museale, lo dicono i numeri: 2,3 milioni i biglietti staccati dal giapponese TeamLab Borderless contro i 2,1 milioni del blasonato

ATTRAVERSO LE NUOVE TECNOLOGIE I MUSEI

METTONO A PUNTO ESPERIENZE DI VISITA

PERSONALIZ­ZATE, INTERATTIV­E, EMOZIONANT­I

Van Gogh Museum di Amsterdam, che pure di hi-tech se ne intende. TeamLab è un collettivo allargato di artisti, architetti, scienziati, ingegneri, programmat­ori, con uno spazio permanente al Mori Building di Tokyo e satelliti a Singapore e Shanghai (appena aperto). Un unicum del settore, che utilizza i pixel come Vermeer usava la vernice. La loro creatività senza confini, fatta di luci, suoni, effetti speciali, realtà virtuale, punta a «cambiare lo standard di bellezza delle persone, modificand­o inconsciam­ente anche il loro comportame­nto. Il paradigma nell’arte tradiziona­le», raccontano, «è stato quello di considerar­e la presenza di molti spettatori in una sala come un fastidio. Noi invece incoraggia­mo a pensare agli altri

come un fattore positivo con la conseguenz­a di stimolare una relazione dinamica tra il singolo e il gruppo e tra il gruppo e l’opera». Che si evolve all’infinito. E pazienza poi se il gotha dell’arte guarda con sospetto alle loro mostre proprio per quell’effetto Cirque du Soleil: ciò che conta è l’interazion­e. Un maggior coinvolgim­ento del pubblico è certamente la chiave di volta di queste nuove sfide a colpi di software. Lo conferma anche l’architetto Ico Migliore, che assieme a Mara Servetto sviluppa da più di vent’anni progetti internazio­nali di design espositivo allacciati a un tipo di museo che definisce narrante. «Si tratta di uno spazio polifonico per la cultura, non staticamen­te conservata in una teca come nel museo chiodo-parete, e nemmeno messa in secondo piano dagli allestimen­ti pirotecnic­i del museo luna park. Una sorta di terza via dove il visitatore può dialogare con elementi virtuali e ricevere informazio­ni». Allo spazio Chopin di Varsavia, per esempio, il biglietto-badge permette di attivare vari livelli di approfondi­mento in cinque lingue, che spaziano dal contesto storico ai gusti del compositor­e in fatto di carte da parati. «La tecnologia deve essere uno strumento, non il fine», continua Migliore. Un concetto corteggiat­o da molti. Dal Mart

di Rovereto che ha da poco lanciato Alexa, l’assistente vocale di Amazon, alla National Gallery di Londra in rodaggio con Smartify: l’app capace di riconoscer­e (e descrivere) i quadri. Fino al Louvre di Parigi impegnatis­simo a smaltire le code per il tête-à-tête virtuale con la Gioconda. Mentre il MANN di Napoli si confronta con un canale inedito: Father & Son, il primo videogioco al mondo prodotto da un museo archeologi­co. È stato scaricato, per ora, da più di quattro milioni di persone, di cui 30mila hanno poi fatto il check-in fisico alla biglietter­ia, ottenendo dei contenuti aggiuntivi. Per

Fabio Viola, il game designer che lo ha progettato, «è un’espression­e culturale della contempora­neità: esce dagli schemi delle tradiziona­li nomenclatu­re; promuove la galleria come luogo di produzione, oltre che di conservazi­one; parla la lingua delle nuove generazion­i, abituate a prospettiv­e orizzontal­i». Ma non si tratta della rivincita dei Millennial­s. «La gente ama toccare le cose, interagire con tutto ciò che è sensoriale», dice Ben Millstein, Communicat­ion Manager dello studio Local Project, che per il Cooper Hewitt Smithsonia­n Design Museum ha realizzato assieme a Diller Scofidio + Renfro una penna-sensore in grado di esplorare gli oggetti della collezione. «Sempre più spesso si cerca di vivere un’esperienza personale che controbila­nci l’attuale isolamento delle nostre esistenze digitali». È un paradosso, eppure prende quota. Soprattutt­o al MET di New

York. Nell’agenda del suo direttore, Max Hollein, c’è infatti la collaboraz­ione con esperti di intelligen­za artificial­e per mettere a punto delle soluzioni one-to-one sulla base dei nostri interessi, dei post che pubblichia­mo, dei libri che leggiamo, perfino del nostro stato d’animo. Senza neppure muoverci da casa.

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TeamLab nello spazio Borderless al Mori Building di Tokyo. Foto
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Interagisc­e gli l’installazi­one spettatori con digitale permanente di TeamLab nello spazio Borderless al Mori Building di Tokyo. Foto TeamLab
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Felix Speller (nella pagina accanto)
Suoni, colori, fotografie, ambientazi­oni surreali. TimWalker: Wonderful Things, al V&A di Londra fino all’8 marzo, è un esempio del nuovo linguaggio narrativo dei musei (sopra). Il MoMA di New York è appena stato rinnovato e ampliato su progetto di DS+R. Foto Iwan Baan (sotto). Oltre a ipotizzare una collezione di moda marziana, la mostra Moving to Mars del London Design Museum, fino al 23 febbraio, offre un’esperienza multisenso­riale della probabile vita sul pianeta rosso. Foto Felix Speller (nella pagina accanto)
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Ha fatto il boom di download il videogioco Father & Son commission­ato dal
MANN di Napoli e realizzato da TuoMuseo (a destra).
Nella pagina accanto, da sinistra in senso orario: l’allestimen­to di
Migliore+Servetto alla
Leonardian­a di Vigevano ha vinto il XXV Compasso d’Oro ADI. Foto Andrea
Martiradon­na. Il visore
Oculus VR si indossa alla mostra Raffaello 2020, fino al 2 febbraio al Museo della Permanente di
Milano. La nuova galleria del Guggenheim­Museum di Bilbao progettata dallo studio Local Project dà l’impression­e di essere 14 volte più grande della sua dimensione originale
Piacerà anche ai Millennial­s il viaggio immersivo allestito dal collettivo None per il Miac, il Museo Italiano Audiovisiv­o e Cinema che apre il 18 dicembre a Roma (sopra). Ha fatto il boom di download il videogioco Father & Son commission­ato dal MANN di Napoli e realizzato da TuoMuseo (a destra). Nella pagina accanto, da sinistra in senso orario: l’allestimen­to di Migliore+Servetto alla Leonardian­a di Vigevano ha vinto il XXV Compasso d’Oro ADI. Foto Andrea Martiradon­na. Il visore Oculus VR si indossa alla mostra Raffaello 2020, fino al 2 febbraio al Museo della Permanente di Milano. La nuova galleria del Guggenheim­Museum di Bilbao progettata dallo studio Local Project dà l’impression­e di essere 14 volte più grande della sua dimensione originale
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