DOP PIO GIO CO
Le balconate in stile alpino e le enormi losanghe dipinte, le stanze in legno effetto stube e l’installazione di farfalle e colibrì. Nel Cantone dei Grigioni, lo studio londinese Caruso St John sovverte le regole del folklore e reinventa lo chalet
Fin dai primi Anni 50, la baita di legno all’estremità del villaggio svizzero di Tschiertschen, nel Cantone dei Grigioni, era per tutti ‘L’Engi’, ristorante tipico e punto di ritrovo della comunità locale abituata a riunirsi lì nelle grandi occasioni. Non avendo individuato un successore valido che continuasse la tradizione di famiglia, nel 2014 i proprietari hanno deciso di chiudere, con grande dispiacere di tutti. Una ‘breve storia triste’ durata soltanto qualche mese, fino a quando Stéphane Lombardi e Armin Zink, una coppia di Zurigo, non ha rilevato la proprietà per farne una casa di vacanze molto speciale. Impegnatissimi e con poco tempo da dedicare alla ricerca della casa ideale – Stéphane è esperto di economia nel ramo degli imballaggi, mentre Armin è primario del dipartimento di Pneumologia dell’ospedale di Tremli –, capiscono subito che lo chalet con vista sul gruppo montuoso del Calanda sarà il loro buen retiro detox. «Non volevamo il classico stile Alpine chic con le teste di cervo appese in salotto e i tradizionali gingilli folkloristici, lo avremmo trovato troppo convenzionale», raccontano, «soprattutto ci piaceva l’idea di lasciare una parte della residenza aperta alla popolazione, come un tempo». Grazie a un amico comune entrano in contatto con Adam Caruso e Peter St John del blasonato studio di architettura londinese Caruso St John, conosciuto a livello internazionale per progetti come la Tate Britain di Londra, il Centro d’Arte Contemporanea di Roma e le gallerie Gagosian di tutto il mondo. Appassionati collezionisti, Stéphane e Armin cercano proprio quel tipo di sensibilità, fatta di rigore ma anche di estro e colpi di scena. «Per mesi ci siamo trovati ogni settimana alle sei del mattino davanti allo chalet con Adam e Michael Schneider, della sede di Zurigo. L’idea delle losanghe sulla facciata è nata così, per tentativi: prima dovevano essere righe, alla
fine sono diventati rombi. Volevamo che l’edificio avesse un’identità forte, riconoscibile», racconta Stéphane. Dall’esterno all’interno è stato un continuo intreccio di linguaggi. Un dialogo con la struttura esistente che ha dato vita a una serie di ambienti completamente diversi tra loro: «Al primo piano abbiamo mantenuto i pannelli di legno meglio conservati, assemblati con la tradizionale tecnica Strickbau, mentre per le aree più danneggiate ci è venuta in soccorso l’immaginazione. Sono nati così i muri dipinti a losanghe o quelli a strisce di diverse gradazioni di verde, come il soffitto della libreria o la scala che conduce alla zona notte», spiegano gli architetti. La necessità, non essendo il budget illimitato, ha aguzzato l’ingegno di tutti, con esiti sorprendenti. Agli arredi ha pensato la coppia con la sua collezione di pezzi d’autore accumulati negli anni, dalle poltrone di Gerrit Rietveld alle applique di Le Corbusier: «Anche se ci siamo sempre consultati via Skype con gli architetti, perfino durante un viaggio in Iran per l’acquisto dei tappeti», precisano. Tra il living e la sala per la colazione si trovano installazioni di giovani artisti della scena elvetica, come le farfalle e i colibrì del duo huber.huber nella vetrina passante o le foto artistiche di Marianne Enge. Sul retro, la brutta annessione degli Anni 80 è diventata un salotto a doppia altezza simile a un backgammon dominato da uno chandelier rosso in vetro di Murano, dove periodicamente si tengono concerti ed esposizioni di giovani artisti svizzeri aperti al pubblico. In programma per dicembre, la personale del fotografo Stephan Schenk e un concerto per violoncello del Trio Rafale. In più, quando Stéphane e Armin restano ‘blindati’ dagli impegni a Zurigo, lo chalet si può affittare per brevi periodi. Controllate le disponibilità sul sito, la stagione sciistica è cominciata.
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