Pasolini abita qui
Tra le dune del litorale pontino, la casa dell’ultima estate. «Per mantenerla ho fatto di tutto», dice il nipote Matteo. La lotta con la natura, il rispetto dei materiali, i molti restauri. Sembra l’eco di una citazione: ‘Solo nella tradizione è il mio am
«È stato Alberto Moravia a portarlo sul litorale pontino, tra Sabaudia e il Circeo. Stavano vendendo lotti di terra per costruirci delle villette e Pasolini cercava una casa al mare. Poteva essere una buona soluzione», accenna il nipote Matteo Cerami. Lo è stata per entrambi: hanno acquistato una bifamigliare e l’hanno divisa in due verticalmente. Fa una certa impressione immaginare sotto lo stesso tetto Alberto e Pier Paolo – e ancor più, affaccendati in questioni immobiliari, o a scegliere questo o quell’arredo. Non potevano immaginare che l’avventura sarebbe durata così poco, solo un’estate, l’estate del 1975. Nel novembre di quell’anno l’epilogo che tutti conoscono sulla spiaggia di Ostia. Figlio di Vincenzo Cerami e della cugina di Pasolini Graziella Chiarcossi, 38 anni, a sua volta regista e sceneggiatore, Matteo ne diventerà il proprietario: «Pur di mantenerla ho fatto di tutto. È la mia casa vera, la casa che ho frequentato da sempre, il luogo dei ricordi, della memoria. Ho sempre avvertito un legame particolare». La villa è immersa nella macchia mediterranea: «Una porta la apre alle dune e al mare», dice Matteo. «Con la natura è una lotta continua. Figurarsi che è stata costruita senza fondamenta e in cemento armato, con la salsedine che si mangia tutto, incredibile. Nell’area pontina era così». Quando decide di ristrutturarla coinvolge un’amica, l’architetto Barbara Natalucci: «Ho lavorato in punta di piedi», dice. ‘Rispetto’ e ‘pudore’ sono le parole che tornano sempre. «Il fatto che in origine la casa fosse così spoglia e sobria era l’effetto di una volontà con cui dovevamo dialogare. Pasolini voleva un interno che lo schermasse dal mondo. L’interno come un rifugio dai riverberi semplici, a sua immagine: il pavimento è di cotto scuro (per lo più, nelle
altre ville pontine vanno di moda le più preziose piastrelle di Vietri) e le porte dalla foggia rustica». Scelte estetiche e insieme valori più profondi. «La panca bassa da cui si guarda il mare è il minimo indispensabile, non serviva niente di più; e il tavolo da pranzo di marmo se l’è disegnato da solo, magari complice l’amico». Insomma, la casa riassume tutta una serie di funzioni del vivere, niente di più lontano dal mito. «Venendo in cantiere, portavo da Roma campioni e disegni. Tornando a casa, un po’ di sabbia e un grande insegnamento sull’essenziale e la natura», dice Natalucci. Il tempo ha deciso che quel medesimo luogo dovesse avere due destini opposti. Casa Moravia si è del tutto consumata. Venduta dagli eredi, oggi mostra il suo volto più triste. Casa Pasolini ha ritrovato nella fragranza della vita presente – Matteo ha moglie e due figli e poi ci sono sua sorella e i molti amici – la sua vocazione antica: accogliere e proteggere, ma anche conservare la sua identità. «Il cambiamento più deciso riguarda le pareti del soggiorno», dice il nipote. «Erano grigio scuro con la superficie a buccia d’arancia. Io ho preferito la neutralità del bianco». Per il resto, rispetto. Ce n’è tantissimo nella lampada di Ingo Maurer che illumina il tavolo da pranzo di marmo. «Delle lampadine a incandescenza sbagliate avevano bruciata un’ala. Per metterla a posto è servita una restauratrice specializzata nella carta e un lavoro di restauro vero e proprio». È la prova che la verità costa. E il segno di un impegno che ha riguardato tutti i 300 metri quadrati della residenza. Senza accenti, grida, rime. Senza la necessità di segni eclatanti e sottolineature. Come se la forza si concentrasse tutta nella trasparenza. Oltre il vetro del tempo, Pasolini c’è.
VENENDO IN CANTIERE DA ROMA,
AVEVO CON ME CAMPIONI E DISEGNI.
TORNANDO A CASA PORTAVO UN PO’ DI
SABBIA E UN GRANDE INSEGNAMENTO
SULL’ESSENZIALE E LA NATURA
Barbara Natalucci