A CASA DI
MASSIMO GIORGETTI
Lo stilista romagnolo fondatore del brand MSGM trascorre le estati a La Vedetta, un’ex fortezza militare ristrutturata da Michele Pasini, Storage Associati
«IL CONCEPT È CHIARO E LINEARE, ATTENTO ALLA FUNZIONALITÀ E AI DETTAGLI, NON C’È NULLA IN PIÙ DI QUANTO SERVE»
Michele Pasini, Storage Associati
Gli piace che i luoghi abbiano un nome, per questo li battezza. Nella sua proprietà ce ne sono tre. Come fratelli, si assomigliano e sono diversi: le Pietre, i Lecci, la Vedetta. Nominandoli, più facilmente si trasformano in emozioni. Le Pietre è in cima, sulla sommità dei cinque ettari che dal monte arrivano fino al mare di Zoagli. È il posto del silenzio: la contemplazione del golfo del Tigullio è sempre nuova, il tempo determina la luce, ogni luce un colore. Era un vecchio acquedotto, è diventato una costruzione di sasso con due camere – una è attrezzata a palestra – e un bagno. Più in basso, la terra di mezzo, i Lecci: l’ombra degli alberi, le cicale, l’anarchia di una natura che ricopre e accerchia. Dentro questo luogo c’è inscritta l’ombra, che è l’altra metà della luce. Per come l’ho conosciuto, Massimo Giorgetti non deve dispiacersi del lavoro ancora da fare, l’attesa dei permessi rilancia l’immaginazione. Senza contare che il tratto di strada più complesso l’ha già fatto: porta dal «sogno irrealizzabile al tuffo in mare appena sveglio al mattino». Si può leggere come metafora del suo percorso professionale: dal sogno irrealizzabile della moda ai 50 milioni di un fatturato che si proietta verso i 100 del marchio MSGM di cui Massimo Giorgetti è fondatore e direttore creativo. «Era il 2010, per la prima volta in Liguria. Da riminese, tutta la giovinezza l’ho passata sulla Riviera romagnola. Hai presente? Il Cocoricò,
il Pascià, il Prince... Poi sono venute Nizza e la Costa Azzurra. Zoagli è un’altra fase: la piazzetta, gli spazi ristretti, lo sguardo su un tempo più lento. Un’avventura a due cominciata con Mattia, che vedrà proprio qui il nostro matrimonio. Una volta presi i contatti con il posto, sono stato al Castello di Canevaro per chiedere al Duca se aveva qualcosa da affittarci. Per un po’ siamo rimasti lì. Ricordo che nelle gite in canoa, tutte le volte che passavamo davanti alle vele restavamo incantati.
Una volta abbiamo cercato di entrare di nascosto nella proprietà. Ecco, in quel momento è nato il delirio: primavera 2017». È stata la Vedetta a accenderlo: la terza tappa del sentiero che dal monte porta al mare. L’approdo del sogno. Doveva essere ancora restaurata, doveva respirare, ma era pur sempre «la casa più vicina all’acqua di tutto il golfo», dice Massimo, «una fortezza della Prima guerra mondiale, acquistata nel 1931 da un ufficiale tedesco per trasformarla in beach house, poco più di una cabina dove cambiarsi il costume». Inutile descrivere le trattative, Giorgetti se la aggiudica sul filo di lana. I lavori di ristrutturazione vanno a Michele Pasini di Storage Associati: «Qui l’oggetto è tutto, basta a se stesso. Occorreva solo un gesto minimo per riportarlo al mare: ho pensato alle colonie, al gusto Déco Miami. Dentro il concept è chiaro e lineare, attento alla funzionalità e ai dettagli, non c’è nulla in più di quanto serve». A ottobre 2018 è quasi tutto a posto. «Stavamo completando
l’ultima tappa, la piscina», precisa Giorgetti, «quando il 28 si scatena una mareggiata che resta negli annali. Il dramma è ancora vivo, un dolore grandissimo: il giorno dopo la Vedetta è distrutta. Il mare ha sfondato tre finestre e allagato tutto». Sembra un epilogo romanzesco con i sogni che si abbattono sulla scogliera, alla Turner. E invece è un nuovo inizio: «Siamo rimasti paralizzati una settimana, poi la ripresa, nel dramma ho trovato la solidarietà di tutti. A Pasqua 2019 eravamo lì, in quei 50 metri quadrati che sembra di essere in barca, con le vele e i decori blu». Giorgetti ribadisce che non si tratta di una casa, troppo semplice: «Questo è un luogo, una piccola superficie di Universo capitata a noi, un’occasione per conoscermi meglio, una tappa del destino». Il bagno è scavato nella roccia: «Nessun progetto può avvicinarsi all’estetica della natura, impossibile fare meglio di così. Nonostante la mia passione per l’arte, non sono riuscito a metterci nemmeno un’opera, né design». Come se la casa volesse rimanere com’è per sua scelta. Ora le idee si spostano fuori: «Sono tutto preso dalla passione per il verde, sto scoprendo la sua poesia. Non c’è niente di più detox per il cervello e per i polmoni. Quando non ci sono se ne occupa Fabrizio, il giardiniere, una sorta di maestro. Mi ha insegnato che coltivare è qualcosa che riguarda l’anima, è un fatto prima di tutto poetico. Come le rose cresciute intorno agli olivi».