L’architetto diventa muratore. Sulle alture della Liguria la scommessa di una coppia di Amburgo: fare tutto da soli
NIENTE DI INDUSTRIALE O PREFABBRICATO. TUTTO DOVEVA ESSERE IL PIÙ SEMPLICE POSSIBILE
Sandra Tuchscherer e Simon Filler
«Non volevo seguire la solita strada dell’architetto che progetta la sua casa. Ho voluto osare di più. Disegnare il meno possibile in anticipo e prendere decisioni progettuali direttamente in cantiere. Volevo lasciare che prendesse forma sotto le mie mani, costruirla io stesso, un’esperienza che spesso agli architetti manca del tutto». Quella di Simon Filler e Sandra Tuchscherer, trentottenni, si è configurata fin da subito – era il 2016 – come una scelta di vita. Simon, nato a Amburgo e cresciuto in Liguria fino all’età di 14 anni, architetto figlio di architetto, dopo otto anni ha lasciato lo studio berlinese Bruno Fioretti Marquez per raggiungere Montegrazie, sulle alture di Ponente. Sandra, art director free lance, ha cominciato a fare avanti e indietro con Amburgo. «Per i primi sei mesi, abbiamo rimosso solo materiale di scarto. Macerie e spazzatura vengono spesso gettate di nascosto nelle case vuote, tanto è difficile trasportarle per strade strette e impervie. C’è voluto tempo per capire l’essenza delle tradizioni costruttive locali, per lasciare che le tracce storiche guadagnassero un senso, e ce lo siamo
presi. È stata un’esperienza incredibile. La casa si è calata nell’individualità della nostra esistenza. Ogni problema ha avuto la sua soluzione sul campo. La ristrutturazione è cresciuta con noi, niente ha avuto un’anteprima. Certamente questo è uno degli aspetti che caratterizzano i paesi liguri. Se non comprendi l’essenza del luogo, il tuo lavoro non può che rimanere in superficie». Ci racconti dell’incontro: «Ogni volta che visitavamo la casa dei genitori di Sandra a Montegrazie, passavamo davanti a questo vecchio rudere abbandonato che stava cadendo a pezzi. A quanto pare, siamo stati gli unici a riconoscere il suo fascino. Abbiamo pensato che ristrutturarlo avrebbe avuto effetti ampi e positivi sull’interezza del paese. E poi volevamo evitare che cadesse in certi disegni speculativi, probabilmente correva il rischio di essere abbattuto. Era sull’orlo del collasso, vuoto da decenni mostrava parti che probabilmente non erano mai state abitate. Liberiamolo, ci siamo detti: dalla sua fine e dalle tendenze architettoniche contemporanee». Fatto. La residenza è intrecciata con la struttura del villaggio, senza
fronte o retro, senza facciata principale e con una moltitudine di accessi. La pianta è rimasta quella originaria. Solo alcuni interventi prudenti, che da soli hanno tracciato spazi di grande effetto. «Rimuovendo solo una volta a crociera è nato un nuovo continuum spaziale, si vede bene nella foto con la scala. È stato un momento toccante, quando la storia e il presente si sono fusi è come se la casa avesse tirato un sospiro di sollievo. Le imperfezioni sono state preservate o accuratamente aggiunte». Dopo il restauro, una parola che in questo caso è più vera di ristrutturazione, si sviluppa in circa 200 metri quadrati: tre camere da letto, due bagni, una sala da pranzo, un soggiorno, una cucina e un monolocale. Nonostante si trovi in paese, ha anche una striscia verde con l’orto e alberi da frutta. Dalla cucina e dalla sala da pranzo al piano terra si accede a un idilliaco giardino mediterraneo. All’ultimo piano ci sono una terrazza e una loggia con vista mare. Pochi i mobili, il necessario. «La sostanza del luogo è così espressiva che non ce n’è bisogno. La sua plasticità, le nicchie e gli archi, hanno fatto il resto. Abbiamo conservato la sua patina al meglio: aspetti come la decorazione e la pittura ci sono apparsi fin da subito superflui. Le tonalità dovevano coincidere con un edificio centenario, evocare un’atmosfera morbida e piacevole. In definitiva è una semplice casa colonica, niente di più quindi abbiamo evitato di ingombrarla con uno stile eclettico, come è attualmente di norma. Solo mobili dal look naturale e arcaico». La Casa Francese è un luogo di ritiro, ha un effetto calmante. La coppia cerca di trascorrerci più tempo possibile. «E quando non ci siamo la affittiamo. Perché non lasciare che altri accedano a questa esperienza? Vediamo il potenziale per un turismo più sostenibile a livello regionale. L’obiettivo è rafforzare la struttura del villaggio, fertilizzarlo e creare un insieme da cui le singole parti traggano reciprocamente vantaggio». Concludono con un sogno che sogno non vuole essere: «Riportare dolcemente la vita negli edifici antichi: farne il nostro lavoro principale. Consideriamo un dovere mostrare alle persone come lavorare con questo tipo di case, creare buoni esempi concreti. queste aree, parte del patrimonio culturale viene distrutto solo perché a occuparsi dei restauri sono le persone sbagliate».
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