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L’architetto diventa muratore. Sulle alture della Liguria la scommessa di una coppia di Amburgo: fare tutto da soli

- DI TAMI CHRISTIANS­EN TESTO FABRIZIO SARPI FOTO NATHALIE KRAG

NIENTE DI INDUSTRIAL­E O PREFABBRIC­ATO. TUTTO DOVEVA ESSERE IL PIÙ SEMPLICE POSSIBILE

Sandra Tuchschere­r e Simon Filler

«Non volevo seguire la solita strada dell’architetto che progetta la sua casa. Ho voluto osare di più. Disegnare il meno possibile in anticipo e prendere decisioni progettual­i direttamen­te in cantiere. Volevo lasciare che prendesse forma sotto le mie mani, costruirla io stesso, un’esperienza che spesso agli architetti manca del tutto». Quella di Simon Filler e Sandra Tuchschere­r, trentotten­ni, si è configurat­a fin da subito – era il 2016 – come una scelta di vita. Simon, nato a Amburgo e cresciuto in Liguria fino all’età di 14 anni, architetto figlio di architetto, dopo otto anni ha lasciato lo studio berlinese Bruno Fioretti Marquez per raggiunger­e Montegrazi­e, sulle alture di Ponente. Sandra, art director free lance, ha cominciato a fare avanti e indietro con Amburgo. «Per i primi sei mesi, abbiamo rimosso solo materiale di scarto. Macerie e spazzatura vengono spesso gettate di nascosto nelle case vuote, tanto è difficile trasportar­le per strade strette e impervie. C’è voluto tempo per capire l’essenza delle tradizioni costruttiv­e locali, per lasciare che le tracce storiche guadagnass­ero un senso, e ce lo siamo

presi. È stata un’esperienza incredibil­e. La casa si è calata nell’individual­ità della nostra esistenza. Ogni problema ha avuto la sua soluzione sul campo. La ristruttur­azione è cresciuta con noi, niente ha avuto un’anteprima. Certamente questo è uno degli aspetti che caratteriz­zano i paesi liguri. Se non comprendi l’essenza del luogo, il tuo lavoro non può che rimanere in superficie». Ci racconti dell’incontro: «Ogni volta che visitavamo la casa dei genitori di Sandra a Montegrazi­e, passavamo davanti a questo vecchio rudere abbandonat­o che stava cadendo a pezzi. A quanto pare, siamo stati gli unici a riconoscer­e il suo fascino. Abbiamo pensato che ristruttur­arlo avrebbe avuto effetti ampi e positivi sull’interezza del paese. E poi volevamo evitare che cadesse in certi disegni speculativ­i, probabilme­nte correva il rischio di essere abbattuto. Era sull’orlo del collasso, vuoto da decenni mostrava parti che probabilme­nte non erano mai state abitate. Liberiamol­o, ci siamo detti: dalla sua fine e dalle tendenze architetto­niche contempora­nee». Fatto. La residenza è intrecciat­a con la struttura del villaggio, senza

fronte o retro, senza facciata principale e con una moltitudin­e di accessi. La pianta è rimasta quella originaria. Solo alcuni interventi prudenti, che da soli hanno tracciato spazi di grande effetto. «Rimuovendo solo una volta a crociera è nato un nuovo continuum spaziale, si vede bene nella foto con la scala. È stato un momento toccante, quando la storia e il presente si sono fusi è come se la casa avesse tirato un sospiro di sollievo. Le imperfezio­ni sono state preservate o accuratame­nte aggiunte». Dopo il restauro, una parola che in questo caso è più vera di ristruttur­azione, si sviluppa in circa 200 metri quadrati: tre camere da letto, due bagni, una sala da pranzo, un soggiorno, una cucina e un monolocale. Nonostante si trovi in paese, ha anche una striscia verde con l’orto e alberi da frutta. Dalla cucina e dalla sala da pranzo al piano terra si accede a un idilliaco giardino mediterran­eo. All’ultimo piano ci sono una terrazza e una loggia con vista mare. Pochi i mobili, il necessario. «La sostanza del luogo è così espressiva che non ce n’è bisogno. La sua plasticità, le nicchie e gli archi, hanno fatto il resto. Abbiamo conservato la sua patina al meglio: aspetti come la decorazion­e e la pittura ci sono apparsi fin da subito superflui. Le tonalità dovevano coincidere con un edificio centenario, evocare un’atmosfera morbida e piacevole. In definitiva è una semplice casa colonica, niente di più quindi abbiamo evitato di ingombrarl­a con uno stile eclettico, come è attualment­e di norma. Solo mobili dal look naturale e arcaico». La Casa Francese è un luogo di ritiro, ha un effetto calmante. La coppia cerca di trascorrer­ci più tempo possibile. «E quando non ci siamo la affittiamo. Perché non lasciare che altri accedano a questa esperienza? Vediamo il potenziale per un turismo più sostenibil­e a livello regionale. L’obiettivo è rafforzare la struttura del villaggio, fertilizza­rlo e creare un insieme da cui le singole parti traggano reciprocam­ente vantaggio». Concludono con un sogno che sogno non vuole essere: «Riportare dolcemente la vita negli edifici antichi: farne il nostro lavoro principale. Consideria­mo un dovere mostrare alle persone come lavorare con questo tipo di case, creare buoni esempi concreti. queste aree, parte del patrimonio culturale viene distrutto solo perché a occuparsi dei restauri sono le persone sbagliate».

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 ??  ?? art director Sandra free e Simon, lance lei, architetto lui. Posano sulla scala che dalla ex stalla, ora cucina, sale alla zona giorno (in questa foto). La casa si trova a Montegrazi­e, sulle alture del Ponente ligure. Sullo sfondo Poggi e la sua chiesa romanica (nella pagina accanto)
art director Sandra free e Simon, lance lei, architetto lui. Posano sulla scala che dalla ex stalla, ora cucina, sale alla zona giorno (in questa foto). La casa si trova a Montegrazi­e, sulle alture del Ponente ligure. Sullo sfondo Poggi e la sua chiesa romanica (nella pagina accanto)
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 ??  ?? La zona giorno è sovrastata dalla più imponente volta della casa. È la stanza centrale del continuum spaziale che la attraversa.
La panchina murata funge anche da parapetto sulla scala.
Le piastrelle esagonali in cemento sono state fatte appositame­nte per questa casa
La zona giorno è sovrastata dalla più imponente volta della casa. È la stanza centrale del continuum spaziale che la attraversa. La panchina murata funge anche da parapetto sulla scala. Le piastrelle esagonali in cemento sono state fatte appositame­nte per questa casa
 ??  ?? In alto, da sinistra in senso orario: finestre e porte in ferro sono state realizzate da un fabbro locale; dipinto a olio di Olga Czewska. La cucina di ferro su disegno sottolinea il carattere arcaico del piano terra. All’ultimo piano, vista mare loggia (in e questa terrazza pagina). La scala è stata scoperta durante i lavori di demolizion­e. Un esempio di come la pietra veniva usata per creare forme scultoree (nella pagina accanto)
In alto, da sinistra in senso orario: finestre e porte in ferro sono state realizzate da un fabbro locale; dipinto a olio di Olga Czewska. La cucina di ferro su disegno sottolinea il carattere arcaico del piano terra. All’ultimo piano, vista mare loggia (in e questa terrazza pagina). La scala è stata scoperta durante i lavori di demolizion­e. Un esempio di come la pietra veniva usata per creare forme scultoree (nella pagina accanto)
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La zona notte padronale al primo piano esalta il dialogo tra i materiali: legno, pietra e intonaco grezzo. Le travi dei soffitti sono state realizzate con tronchi di castagno scorteccia­ti (sopra e nella pagina accanto). La casa dispone di tre camere da letto e due bagni. Nella foto, il lavabo in pietra di quello principale (a destra)
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 ??  ?? Il disegno di una delle porte di ingresso riprende il tema dell’arco. La casa è «intrecciat­a con la struttura del villaggio, senza fronte o retro, niente facciata principale e una moltitudin­e di possibilit­à di accesso» (sopra). La camera per gli ospiti (sopra, a destra).
Sandra e Simon a passeggio nel borgo di Montegrazi­e con Pino, il loro cane (nella pagina accanto). Foto agenzia
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Il disegno di una delle porte di ingresso riprende il tema dell’arco. La casa è «intrecciat­a con la struttura del villaggio, senza fronte o retro, niente facciata principale e una moltitudin­e di possibilit­à di accesso» (sopra). La camera per gli ospiti (sopra, a destra). Sandra e Simon a passeggio nel borgo di Montegrazi­e con Pino, il loro cane (nella pagina accanto). Foto agenzia Living Inside
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