IL MIO MONDO IN 16: 9
CON LO SGUARDO DI UN REGISTA L’ARCHITETTO DI SAN PAOLO DISEGNA VILLE PANORAMICHE CHE INCORNICIANO LA NATURA. MA LA SUA ULTIMA PASSIONE è IL DESIGN DELL’OUTDOOR: UN MIX DI SPIRITO TROPICALE E RIGORE ZEN
«LA COLLEZIONE QUADRADO è LA TRADUZIONE DELLA MIA IDEA ARCHITETTONICA DEI VOLUMI MODULARI NEL DESIGN»
Pensare che mancava tanto così perché diventasse un regista acclamato, ma poi ci si è messo il destino a sparigliare le carte in tavola. La storia di Marcio Kogan, architetto di San Paolo fondatore dello Studio mk27, non è fatta di soli successi. «All’inizio della mia carriera ero molto indeciso tra architettura e cinematografia», racconta. «Mentre ero ancora studente all’università mi sono fatto una certa reputazione con alcuni corti, ma il mio primo lungometraggio Fogo e Paixão – inutile usare eufemismi – è stato un vero fiasco. Ho perso tutti i miei soldi e i primi clienti. Ma non rinnego nulla, la considero un’esperienza fondamentale per la mia formazione». La passione per il grande schermo è rimasta e Kogan si diverte ancora a presentare i suoi lavori attraverso la lente della videocamera. I filmati del canale Vimeo sono un po’ il suo portfolio ed è con una videoinstallazione che nel 2012 è approdato alla Biennale di Architettura di Venezia per rappresentare il suo Paese (per il Guardian fu «il momento saliente della manifestazione»). «Devo molto al cinema, il senso delle proporzioni, per esempio. Per me è come osservare il mondo in formato widescreen. E poi l’illuminazione, il lavoro di squadra, l’approccio allo storytelling. Anche oggi, la prima cosa che faccio è inventare una sorta di sceneggiatura. Se si tratta di una casa, penso di essere il proprietario. Immagino gli ambienti come inquadrature, penso agli esterni figurandomi come un passante. Credo che fare film mi abbia aiutato a essere un architetto migliore, a ragionare come un producer». Così gli open space diventano degli incredibili piani sequenza e le finestre cielo-terra delle cornici che inquadrano il paesaggio come solo l’occhio di un regista sa fare. Meticolosamente progettati, gli edifici di Kogan sono un
paradigma di volumi puri, spesso sovrapposti, di dettagli materici, eleganza formale e dialogo tra interni ed esterni. Dalla Gama Issa House del 2001, il progetto che l’ha catapultato sulle riviste di mezzo mondo, alle realizzazioni più recenti – un hotel a San Paolo, delle case a Ibiza e una proprietà di campagna fuori Madrid – non mancano mai riferimenti al Modernismo brasiliano: «Oscar Niemeyer, Lina Bo Bardi, Paulo Mendes da Rocha, Rino Levi… Per noi architetti brasiliani è quasi impossibile disconnettersi da quel movimento, è nel nostro dna». E nemmeno gli elementi della tradizione locale, la veranda, i muxarabis (schermature solari utili alla ventilazione) e il patio, uniti da una passione ‘brutalista’ per le superfici in cemento. Le sue case sono un’oasi di pace nella giungla urbana di San Paolo, la città dove tuttora Kogan vive e lavora avvinto da un irrinunciabile rapporto di amore e odio: «È brutta, piena di traffico, inquinamento, violenza, ma adoro l’energia di questa metropoli. Siamo costantemente
«NEGLI ANNI HO PROGETTATO DI TUTTO, DALLE VILLE ALLE VASCHE DA BAGNO. UN GIORNO NON MI DISPIACEREBBE LAVORARE CON JONY IVE PER APPLE»
esposti a un clima tropicale che ci impone di aprire le abitazioni verso l’esterno. Persino nel design di interni è tutto mixato, non c’è differenza tra indoor e outdoor. È così che ho concepito la collezione Quadrado per Minotti». In cantiere da cinque anni, è stata lanciata dall’azienda di Meda all’ultimo Salone del Mobile di Milano in occasione del suo 70° anniversario. Le sedute del sistema si possono combinare in libertà, intervallate da elementi attrezzati con vassoi e portacandele. «L’ho pensata per le terrazze domestiche e per gli hotel che dispongono di grandi spazi open-air», spiega. «Ha un mood tipicamente brasiliano che possiamo ravvisare nella gamma colori e nei materiali ma al tempo stesso è rigorosa come un’architettura metabolista giapponese degli Anni 50 e 60. In sostanza è la traduzione della mia idea architettonica dei volumi modulari nel design». Questione di scala quindi. Sempre durante la DesignWeek, la vasca da bagno che ha disegnato per Agape è stata aggiornata con un rivestimento in terra cruda di Matteo Brioni, una forma organica e minimalista che sembra uscita dalla penna di Niemeyer. «L’ho disegnata per due persone che vogliono guardarsi e parlare vis-à-vis nell’acqua. Non c’è nulla di ‘piccante’, è un oggetto amichevole», scherza. L’ambito del design sta prendendo sempre più piede. Non è che stai cambiando lavoro? «Non mi considero un designer, ma alla fine mi ritrovo sempre a disegnare oggetti. In questi anni ho fatto di tutto, maniglie, rubinetti, lampade e sto già pensando a come ampliare il sistema Quadrado di Minotti con tavoli e altri complementi. Ti confesso che un giorno non mi dispiacerebbe lavorare con Jonathan Ive alla Apple… Pensi che mi stia spingendo troppo avanti?». STUDIOMK27.COM.BR