LA STORIA DEL GIUBBOTTO DI SALVATAGGIO
Gli esempi più antichi di giubbotti di salvataggio consistono in vesciche gonfiate, pelli di animali o zucche vuote sigillate, usate durante l’attraversamento di corsi d’acqua profondi. I marinai norvegesi utilizzavano dispositivi di sicurezza galleggianti appositamente progettati, costituiti da semplici blocchi di legno o di sughero. In una lettera al Naval Chronicle, datata febbraio 1802, Abraham Bosquet propose di dotare le navi della Royal Navy di robusti sacchi di tela della grandezza di un cuscino riempiti con trucioli di sughero e arrotolati a ciambella, sufficientemente larghi per far passare la testa e le spalle. Nel 1806, Francis Daniel, un medico che lavorava a Wapping (sobborgo londinese), esibì un salvagente gonfiabile organizzando una dimostrazione in cui un certo numero di uomini opportunamente equipaggiati si tuffarono nel Tamigi sotto il Blackfriars Bridge galleggiando per lungo tempo. Daniel perseguì la sua idea per alcuni anni ricevendo una medaglia d’oro dalla Royal Society of Arts, dopo aver ceduto loro il brevetto. I dispositivi di galleggiamento personali non facevano parte dell’equipaggiamento fornito ai marinai della marina fino all’inizio del XIX secolo. Il moderno giubbotto di salvataggio è attribuito all’ispettore che si occupava dei mezzi di salvataggio presso la Royal National Lifeboat Institution nel Regno Unito, il capitano John Ross Ward (in seguito vice ammiraglio della Royal Navy). Nel 1854 creò un giubbotto telato con del sughero al suo interno indossato dagli equipaggi delle scialuppe di salvataggio sia come protezione alle intemperie sia per la galleggiabilità. Nel 1900, l’ingegnere francese Gustave Trouvé brevettò un giubbotto di salvataggio alimentato a corrente elettrica: esso incorporava piccole batterie con isolamento in gomma, non solo per gonfiare la giacca ai fini del galleggiamento ma anche per alimentare una luce per l’individuazione del naufrago di notte. Il materiale rigido in sughero alla fine venne soppiantato da sacchetti contenenti celle stagne riempite di kapok (fibra vegetale molto leggera).
Queste celle morbide erano molto più flessibili e comode da indossare rispetto ai dispositivi che utilizzavano pezzi di sughero duro. La galleggiabilità del Kapok fu utilizzata da molte marine che combatterono nella Seconda guerra mondiale. La schiuma espansa alla fine soppiantò il kapok per il galleggiamento. L’università di Victoria è stata pioniera nella ricerca e nello sviluppo del giubbotto salvagente Uvic Thermo Float che forniva una buona protezione dall’ipotermia da immersione incorporando un panno in gomma di neoprene che isolava la parte superiore della coscia e la regione inguinale del naufrago dal contatto con l’acqua. Durante la Seconda guerra mondiale, una ricerca per migliorare la progettazione dei giubbotti di salvataggio fu condotta anche nel Regno Unito da Edgar Pask, professore di anestesia all’università di Newcastle, che studiò sia il design dei giubbotti di salvataggio per mantenere la testa di una persona priva di sensi lontano dall’acqua, sia le conseguenze della caduta da un aereo ad alta quota. La cintura di salvataggio M1926 fu fornita alla fanteria statunitense negli sbarchi anfibi come il D-day. La cintura aveva due bombole di CO2 che potevano essere attivate per gonfiare la cintura, se necessario, oppure poteva essere gonfiata manualmente con un tubo se le bombole di CO2 non avessero funzionato. Il salvagente gonfiabile Admiralty Pattern 14124 era il principale salvagente fornito ai marinai britannici all’inizio della seconda guerra mondiale. Forniva circa 8,5 libbre di galleggiabilità. Il suo difetto era che non teneva la testa di chi lo indossava fuori dall’acqua mentre galleggiava. Ciò significava che chi avesse perso conoscenza sarebbe finito a faccia in giù nell’acqua, annegando. Oggi il mercato offre una svariata gamma di giubbotti di salvataggio: da quelli che utilizzano sughero o polistirolo agli autogonfiabili sia a pastiglie di sale sia a gonfiaggio automatico idrostatico, con una galleggiabilità di 50 Newton (aiuti al galleggiamento) per passare ai 100 N, 150 N fino ai 275 N (navigazioni oceaniche).