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EDITORIALE

LA LITE TRA DOLCE E GABBANA ED ELTON JOHN, IL TRIONFO DELLA SUSCETTIBI­LITÀ

- Umberto Brindani Direttore responsabi­le

di Umberto Brindani

Ma quando è successo, come è successo che siamo diventati tutti nevrasteni­ci? Che basta un niente per scatenare i peggiori istinti e i migliori insulti? Non sto parlando della violenza reale che riempie purtroppo le pagine di cronaca nera, e nemmeno di quella “virtuale” di chi perde la trebisonda all’istante, tipo il tassista romano che durante una lite con un collega ha estratto dall’auto una scimitarra ( la storia, su corriere.it, è raccontata da una cronista che si chiama Maria Teresa Spadaccino, niente male eh?).

No, sto parlando della violenza verbale che avvelena politica e società, e della facile irritabili­tà di chiunque si senta criticato per ciò che dice o ciò che fa. È un mio vecchio pallino, lo ammetto, quello del controllo del linguaggio, perché penso che la sua assenza sia il sintomo di qualcosa di peggio. Lo scrivevo anni fa, ai tempi dei primi vaffa di Beppe Grillo (beccandomi ovviamente dosi industrial­i di ingiurie), e lo ripeto adesso quando sento certi comizi di Matteo Salvini. Ma il problema, oggi, non sono tanto gli insulti e le volgarità, quanto le reazioni scomposte di tante persone di fronte a chi non la pensa allo stesso modo.

Ci riflettevo assistendo basito alla querelle tra Dolce e Gabbana da un lato ed Elton John dall’altro (articolo a pag. 33). Succede che uno dei due stilisti, Domenico Dolce, gay dichiarato come il socio, in un’intervista a Panorama si schiera a favore della famiglia tradiziona­le: «Non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre…». A me sembra una posizione ragionevol­e, matura, condivisib­ile. In ogni modo, è solo la mia opinione. Non mi pongo neppure il problema che a dirlo sia un omosessual­e, e molto in vista per di più, e tanto meno mi interessa che un tempo lui la pensasse diversamen­te, ritengo che uno possa anche cambiare idea. D’altra parte, meno di tre anni fa proprio questo giornale ha dedicato la copertina a Francesca Vecchioni e le sue due bambine avute insieme con un’altra donna: allora titolai «Noi siamo una famiglia», perché ero (e sono) convinto che ciò che definisce una famiglia è l’amore sincero più che le convenzion­i sociali. In ogni caso, ciascuno è libero di pensarla come vuole, e su questo tema come su altri argomenti sensibili e divisivi si può discutere fino alla noia, perché confrontar­si fa crescere, semina dubbi, distrugge certezze, rende migliori. E invece…

Invece il signor Elton John, titolare di una famiglia composta da due papà e due bimbi ottenuti con la fecondazio­ne in vitro, si infuria e lancia il boicottagg­io dei vestiti D&G. E mentre Stefano Gabbana gli dà del fascista, lo seguono, in ordine sparso, vari personaggi dello show business internazio­nale che annunciano di voler buttare le creazioni della coppia siciliana nella spazzatura o di prepararsi addirittur­a a bruciarle, in un rogo che immagino purificato­re. Fin qui la storia, per fortuna del tutto incruenta, di una rabbiosa lite per motivi tutt’altro che futili. Ne sentivamo il bisogno? O forse la sofferta confession­e di Domenico Dolce («Sono gay, non posso avere figli») meritava una riflession­e un po’ più pacata e un pizzico più seria, senza abiti da bruciare?

Certo, i social network svolgono un ruolo non secondario in queste baruffe inutili e controprod­ucenti. La prima stupidata che passa per la testa, zac, 140 caratteri e la stupidata è subito pubblica. Una volta Elton John si sarebbe limitato a smoccolare, poi avrebbe dovuto chiamare l’addetto stampa, far preparare una dichiarazi­one, correggerl­a, approvarla, poi mandarla alle agenzie, e magari intanto gli sarebbe sbollita la rabbia e avrebbe capito che è lecito perfino pensarla diversamen­te da lui. Oggi no, l’indignazio­ne si trasforma immediatam­ente in discorso pubblico, e rotola a valle travolgend­o opinioni e giudizi ragionati. Ma i social sono solo uno strumento, alla fine. Lo strumento che dà voce alla nostra crescente intolleran­za, all’incapacità di accettare le critiche, alla suscettibi­lità generata dalle code di paglia… Rischiamo di finire come il nonno di Woody Allen, il quale «era un tipo così permaloso che sulla sua tomba, sotto la fotografia, ha fatto scrivere: “Che cavolo guardi!?”».

 ??  ?? Gli stilisti Domenico Dolce (a destra) e Stefano Gabbana: è polemica con Elton John sul tema della famiglia tradiziona­le.
Gli stilisti Domenico Dolce (a destra) e Stefano Gabbana: è polemica con Elton John sul tema della famiglia tradiziona­le.
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