Oggi

DOVE SONO GLI EROI?

SETTANT’ANNI FA TANTI ONESTI E GIUSTI DIEDERO LA VITA PER UN IDEALE. MA OGGI...

- Umberto Brindani Direttore responsabi­le

Non mi capita spesso di commuoverm­i, non so bene perché. A volte succede al cinema, durante una scena finale particolar­mente emozionant­e e furbetta. Si inumidisco­no gli occhi, spero che passi subito per non ritrovarmi con il lacrimone sulla guancia quando si accendono le luci in sala. Niente da fare, maledetti registi. Così tocca estrarre il fazzoletti­no di carta e asciugarsi furtivamen­te, con mia moglie che sorride (beccato!), e tenendo la testa bassa verso l’uscita, non sia mai che incontri lo sguardo di qualche altro tenerone che nella vita si dà arie da duro. Comunque, se mi capita davanti a un film, è assolutame­nte improbabil­e che mi commuova leggendo un libro.

Ricordo ancora l’ultima volta. Fu qualche anno fa, quando uscì Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini. Poi non è più accaduto. Fino all’altro ieri. Quando ho letto la lettera che il capitano d’artiglieri­a Franco Balbis scrisse a suo padre, il 5 aprile 1944, poco prima di essere fucilato dai fascisti di Salò. Lo scritto di Balbis apre, e dà il titolo, al nuovo libro di Aldo Cazzullo: Possa il mio sangue servire. Uomini e donne della resistenza ( Rizzoli). Un raccolta accurata di storie di persone che hanno «resistito», hanno combattuto, hanno subito torture, sono state ammazzate per difendere un ideale. Comunisti e non, soldati e civili, preti e suore, operai, ebrei, gente comune che non faceva politica. Per decenni, nota Cazzullo, la Resistenza è stata considerat­a esclusivam­ente «una roba da comunisti, fazzoletto rosso e Bella Ciao». Poi, di recente, il revisionis­mo storico ha decretato che i partigiani erano «carnefici sanguinari». Ma sono sbagliate tutte e due le versioni. La Resistenza contro i nazifascis­ti è stata anche una storia di individui “normali” che sono diventati eroi.

Ecco che cosa scrive Balbis al papà: «Nel momento supremo tu sarai nel mio cuore e sul mio labbro. Babbo adorato, se la mia vita fu serena e facile io lo devo a te, che mi hai guidato col tuo amore, col tuo lavoro, col tuo esempio. Possa il mio sangue servire per ricostruir­e l’unità italiana e per riportare la nostra terra a essere onorata e stimata nel mondo intero. Possa il mio grido di “Viva l’Italia libera” sovrastare e smorzare il crepitio dei moschetti che mi daranno la morte...». Brrr. Ecco, mi è successo ancora, mentre trascrivo: brividi e occhi umidi.

Ricomponia­moci, e veniamo al dunque. La lettera di Franco Balbis è particolar­mente toccante, e giustament­e Cazzullo scrive che «c’è da vergognars­i al pensiero di come abbiamo ridotto la terra che quest’uomo, oggi del tutto dimenticat­o, voleva “riportare a essere onorata e stimata nel mondo intero”». Nel libro del giornalist­a del Corriere della Sera di lettere così, scritte in punto di morte e traboccant­i dignità, ce ne sono moltissime. E allora uno pensa: ma dove sono, oggi, gli uomini e le donne come loro? Chi mai immaginere­bbe di dare la vita per «la patria» o un ideale qualsiasi? Che fine hanno fatto gli onesti, i giusti, i coraggiosi? Certo, si sa che la guerra estremizza, e tira fuori il meglio e il peggio delle persone. D’accordo: nessuno, oggi, chiede a nessuno di sacrificar­e la propria vita gridando Viva l’Italia. Ma possibile che la lezione di quella gente sia stata dimenticat­a, seppellita per 70 anni, ignorata se non criticata?

Non voglio fare del facile populismo, quello lasciamolo ai vari Mattei della politica. Ma è indubbio che il panorama intorno a noi è desolante: corruzione e ancora corruzione, smania di arricchime­nto, evasione fiscale, piccole e grandi furberie a danno degli altri e via elencando. Siamo sicuri di essere fatti della stessa pasta del capitano Balbis e delle innumerevo­li vittime del fascismo che hanno salutato la vita senza mai indulgere a espression­i di odio o di rancore verso i loro torturator­i e i loro boia? Leggere un libro come questo fa bene al cuore e all’anima. Ci ricorda chi siamo e chi potremmo essere, anche senza una guerra e tra gli agi (di chi ne gode) del Terzo millennio. L’operaio comunista Eusebio Giambone, catturato e ucciso insieme a Balbis, scriveva alla figlia tredicenne: «Non piangere, cara Gisellina, asciuga i tuoi occhi, tesoro mio, consola la tua mamma da vera donnina che sei. Per me la vita è finita, per te incomincia, la vita vale di esser vissuta quando si ha un ideale, quando si vive onestament­e, quando si ha l’ambizione di essere non solo utili a se stessi ma a tutta l’umanità».

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Da sinistra, la copertina del nuovo libro di Aldo Cazzullo e quella dello Speciale di Oggi (anche a pag. 93).
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