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GIARDIELLO MI AVEVA STRETTO LA MANO

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no i proventi degli affitti e delle vendite delle case in nero, senza dargli la sua parte. Voleva uscire da queste società, ed eravamo riusciti a raggiunger­e un accordo che prevedeva una liquidazio­ne di un milione di euro. Ma lui niente, voleva sempre di più». Che fosse un tipo da prendere con le pinze era chiaro già ai tempi. «Era una persona aggressiva, poco trasparent­e, ingestibil­e. Perdeva spesso le staffe, urlava durante le riunioni. Così, a fine giugno del 2006, rinunciamm­o all’incarico. Lui non la prese bene. “Mi avete abbandonat­o”, disse. Solo dopo ho scoperto che giocava d’azzardo e che alcune operazioni delle società servivano a coprire le sue spese». Passano nove anni, e arriviamo allo scorso 19 marzo. Stefano riceve una convocazio­ne per testimonia­re a favore di Giardiello da parte del suo legale, Michele Rocchetti. «Non avevo idea del motivo di questa chiamata», spiega. «Ma non ho neppure chiamato il suo avvocato. Giovedì 9 aprile mi sono presentato in Tribunale, alle 9,30». E qui inizia il racconto della mattinata di terrore. «Fuori dall’aula ho incontrato Giardiello e gli ho stretto la mano. C’erano altri tre testimoni, tutti molto tranquilli, che sono entrati in aula per primi e usciti senza problemi. Gli unici a essere visibilmen­te tesi erano l’avvocato Claris Appiani, che io non conoscevo, e Limongelli. C’era anche Erba, ma non l’ho notato. Mi sono messo a sedere sulla panca, in attesa, finché ho sentito tre-quattro spari (ma in un primo momento pensavo fossero botti). Poi altri due spari. Intorno a me tutti sono scappati. Io mi sono fermato un secondo in più per rimettere il computer nella borsa. Giardiello è uscito dall’aula, stravolto, e mi ha visto. Eravamo a un paio di metri di distanza, ha sparato. Ho sentito una fitta alla coscia (mentre del proiettile al piede me ne sono reso conto dopo). A quel punto non ho pensato più a niente: sono scappato, precipitan­domi giù dalle scale. Ero ferito e tenevo la mano sulla coscia che sanguinava, ma in quel momento sarei riuscito anche a volare». Giardiello non lo ha inseguito. «Io sono sceso dalla scala destra, lui da quella sinistra, per raggiunger­e l’ufficio del giudice Ciampi ( che è stato poi fred-

dato con due colpi di pistola, ndr)». Una volta uscito dal Tribunale, Stefano si è accasciato a terra. «Intorno a me c’era il caos, tutti correvano come impazziti. Mi ha assistito un medico, una dottoressa che passava di lì. Mi diceva di non chiudere gli occhi, di pensare a mia moglie, alle mie figlie. L’ambulanza è arrivata dopo mezz’ora, ho avuto paura». Per fortuna la pallottola alla coscia non ha toccato né l’arteria, né i nervi. Mentre per il piede forse sarà necessario un intervento correttivo, si vedrà.

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a volare»
«Ero ferito, ma mi sono precipitat­o giù dalle scale. Sarei riuscito anche a volare»

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