“Alla Diaz quella notte mi torturarono”
I RICORDI DI UNA VITTIMA A 14 ANNI DAL G8 DI GENOVA E DAL FURIOSO PESTAGGIO DEI MANIFESTANTI CHE DORMIVANO IN UNA SCUOLA, LA CORTE EUROPEA CONDANNA LA CONDOTTA DEI POLIZIOTTI. ECCO IL DRAMMATICO RACCONTO DI UN SUPERSTITE DEI MANGANELLI DI STATO
Poi è arrivato un altro poliziotto. Lo vedevo in faccia sotto il casco, perché non aveva un fazzoletto che la nascondeva. Io ero sdraiato a terra, gemevo, in condizioni pietose. Avevo male dappertutto, la gamba destra non riuscivo più a muoverla, le braccia erano inermi, sanguinanti, con lacerazioni e gonfiori, bozze grosse come palle da golf. Ci dicevano: “Nessuno sa che siamo qui, possiamo fare di voi quello che vogliamo”. Era vero. Il dolore e la paura. E quel poliziotto, quello, fu la cosa più terribile...» Lorenzo Guadagnucci adesso è alla sua scrivania della Nazione, a Firenze. Redazione economia di QN, il Quotidiano Nazionale. Allora, luglio 2001, era giornalista del Carlino, a Bologna. Si occupava di economie alternative, con tutto l’entusiasmo dei neofiti. Era stato al primo forum sociale mondiale di Porto Alegre. Ma questa volta il giornale non l’aveva mandato al G8 di Genova: era più una notizia di politica, di esteri. Così ci andò per conto suo, nel giorno libero. Non trovò un buco per dormire. Tutti gli alberghi erano pieni. Non se ne preoccupò: «In via Battisti, dove c’è la scuola Diaz, c’era il Centro Stampa. Andai lì a lavorare, a prendere documenti e relazioni, e pensai che un posto comunque lo avrei trovato. Chiesi ai colleghi stranieri, e mi dissero: “Vai di fronte. Quella scuola, la Diaz, fa da dormitorio”». È cominciato così l’incubo di Guadagnucci. Che lo ricorda oggi, a 14 anni di distanza, dopo la sentenza della Corte europea che riconosce: a Genova i poliziotti commisero il reato di tortura. Dopo la cena Guadagnucci sistemò le sue cose in un angolo della palestra a pianterreno. Vicino a lui c’erano due tedeschi, un ragazzo e una ragazza. Era stanco e si addormentò subito. A mezzanotte però lo svegliarono rumori molto forti che venivano dalla porta. La stavano sfondando. «Ho aperto gli occhi e mi sono seduto
nel sacco a pelo. Non mi sono alzato. Sono entrati i poliziotti con caschi, divise scure, manganelli. Una scena pazzesca: correvano e picchiavano in maniera molto violenta tanta gente inerme, che dormiva o chiacchierava, avventandosi sulle persone con una furia cieca. Mi ricordo tutta questa gente con le mani alzate, che urlavano “No violence” e quelli che li pestavano senza nessun tipo di comunicazione. Calci e manganellate selvagge, sangue che schizza, teste spaccate, e urla e pianti. C’era tanta gente che chiamava la mamma in tutte le lingue del mondo. Io sono di fronte all’ingresso, nell’angolo alla sinistra. Vengono due poliziotti verso di me. Ripensandoci ancora adesso, io non capivo quello che stava succedendo. Forse era lo choc che mi impediva di capire. Era tutto così assurdo. Il primo dei due poliziotti si avvicina e fa partire un calcio violentissimo alla faccia della ragazza tedesca. Io faccio per avvicinarmi a lei per aiutarla. E a quel punto parte una gragnuola di colpi contro di me. Ho sollevato le ginocchia per ripararmi la testa, coprendola con le braccia. Non so quant’è durato. Le braccia sono squarciate, letteralmente squarciate, con delle grosse bozze. Il ginocchio fa un male terribile. Quei due poliziotti si sono allontanati continuando a picchiare altri. Quando questa mattanza è finita, noi eravamo sdraiati nel nostro sangue. Loro continuavano a minacciarci, a urlare che potevano fare di noi quello che volevano. Era vero, incredibilmente vero.
«NON CAPIVO, PENSAVO A UN COLPO DI STATO»
«Ho pensato a un colpo di stato. Doveva essere successo questo. È quello che accade quando c’è un golpe. Ed è in quel momento che è partito un terzo agente di un altro reparto: aveva una camicia bianca e un pettorino senza maniche con scritto “Polizia”. Potevo vederlo in faccia. Avanzava menando dei colpi sui feriti con grandissima foga. C’era solo gente che piangeva per terra, che invocava la mamma, c’erano due ragazzi ormai incoscienti, altri gravissimi. Questo li picchiava tutti. Venne da me e mi colpì da dietro, le spalle e i fianchi, con una violenza esagerata. La mia schiena era tumefatta. Mi sono ritrovato una crosta perfettamente circolare e il dermatologo poi mi disse che “quella era sicuramente una bruciatura o una scossa elettrica”. Era una scossa. Aveva un manganello elettrico». Dopo il pestaggio, sono rimasti due ore nella palestra, senza alcun soccorso. La parte peggiore, dice Lorenzo, è stata questa.