LE MACCHIE DI SANGUE DEI CONTESTATORI COLPITI NEL SONNO DAI POLIZIOTTI
Genova, 2001. Sopra, macchie di sangue dei no global assaliti dai poliziotti durante il sonno. A destra, alcuni superstiti cercano le loro cose in un’aula della scuola adibita a dormitorio. La Corte europea ha condannato lo stato a risarcire 40 mila euro
«PERDEVO MOLTO SANGUE, VEDEVO LA MIA CARNE»
«Nessuno di noi aveva capito che cos’era successo. Ti hanno pestato a sangue senza un motivo, non ti hanno chiesto un documento, niente. Non puoi chiedere aiuto a nessuno perché sono proprio questi che ti stanno massacrando, quelli a cui dovresti chiederlo. Pensi che ti ammazzeranno. Tutti l’abbiamo pensato. Anch’io. È una tortura psicologica. E continuavano a farci del male. Davano ordini: “I feriti tutti da una parte!”. Io perdevo sangue, molto sangue, avevo una gamba e le braccia inutilizzabili, e vedevo le mie braccia deformate, vedevo la carne viva, ma ho dovuto trascinarmi per andare da una parte all’altra. Nessuno di loro mi ha aiutato. Qualcuno rideva. Una ragazza mi ha detto: guarda, bisogna che ti tamponi la ferita, levati la maglia e stringela attorno. Io le dissi: non ce la faccio. Lei mi diede il suo foulard. E io continuai a strisciare. Quelle due ore sul piano della tortura sono state le più drammatiche. C’era una ragazza in crisi epilettica e loro ridevano. Davvero. Era odio senza senso, una deformazione violenta e ancestrale del potere. Io lì ho capito che cosa vuol dire la paura di morire, l’impotenza più totale. Non ci hanno chiesto i nomi, niente. Non è che ti arrestavano. E quando dicevano “possiamo fare di voi quello che vogliamo”, sembrava una promessa di morte... «Dopo due ore è arrivato un infermiere. Uno solo. È rimasto sotto choc, s’è trovato decine di persone che non potevano muoversi per le ferite, due ragazzi in coma, teste spaccate, sangue dappertutto, tanto sangue. È andato via. Dopo un po’ torna con altri infermieri e un medico. Fanno visite molto sommarie per organizzare il trasporto in barella. Vado da lui e il dottore dice: “Queste braccia sono rotte. Tutt’e due”. All’infermiere: “Steccagli le braccia”. Ma non hanno dietro il materiale necessario. Prendono due cartoni e li stringono avvolgendoli con della garza.
«POI ALL’OSPEDALE MI HANNO ARRESTATO»
«Mi mettono in barella. Ricordo di aver visto il regista Paolo Pietrangeli mentre mi portavano fuori, e di averlo chiamato. Ero lucido, ma nello stesso tempo ero in trance. Non realizzavo quello che succedeva. All’ospedale mi fanno raggi, ecografie, ricuciture e a un certo punto un infermiere si avvicina e mi dice: guarda che ti arrestano. Ebbi un crollo psicologico. In quelle condizioni mi sembrava la cosa più devastante. Mi