«AI GIOVANI DICO: NON BISOGNA EMIGRARE, BISOGNA ESPORTARSI »
non come su Twitter, dove tutto scorre e dura poco».
Perché ora va lo streaming?
«Per noi è un vecchio pallino. Il primo che facemmo fu quello del concerto che Nelson Mandela organizzò nel 2003 a Cape Town per raccogliere fondi per la ricerca sull’Aids. Una domenica mattina mi telefonò a casa e mi chiese di trasmetterlo via Internet. Potevo dire di no a Mandela?».
La chiamò lui in persona?
«Sì, credo di non averlo mai raccontato. Avevamo avuto dei contatti l’anno precedente, perché avevo rilevato una società che stava costruendo una scuola elementare nel suo paese natale. Quello streaming fu per noi una grande occasione di crescita professionale. Da allora abbiamo continuato a lavorarci e quando sono rientrato in Tiscali ( nel 2009, dopo l’esperienza in Regione, ndr) con il mio team, Antonio Tuzi, Luca Manunza e Davide Vinci, abbiamo dato vita prima a Streamago e ora a Streamago Social ».
Con Streamago Social si può mandare in diretta qualsiasi cosa. E i diritti, la privacy...?
«L’app dà la possibilità di fare live streaming, ma la responsabilità del contenuto è di chi decide di trasmetterlo. Se un ladro fa una rapina guidando una Panda, la colpa è della Fiat? E comunque sono problemi e domande che ci poniamo solo in Italia. Questa è una terra di nessuno, solo che in America le terre di nessuno sono terre di conquista in cui lo sceriffo mette piede 20 anni dopo. In Italia se una terra è di nessuno ti dicono che non ci si può andare».
A proposito di regole, i colossi del Web sono sotto la lente di Fisco e Procure italiane per via delle tasse. Lei che ha il doppio ruolo di imprenditore ed eurodeputato ci dice chi ha ragione?
«È una questione di statualità. David Cameron ha detto: “Non può esserci profitto realizzato in Inghilterra che non sia tassato in Inghitlerra”. Lo stesso vale per l’Italia. I colossi del Web sostengono, invece, che benché utilizzati in Italia i loro servizi sono “prodotti” altrove (in Olanda, Svizzera...) e non devono pagarci le tasse qui. Una situazione ambigua, durata a lungo, grazie anche al fatto che i Paesi Ue hanno livelli di tassazione molto diversi tra loro. Ora, però, la Commissione sta lavorando a una norma europea cui uniformare le leggi nazionali, affinché ci siano soglie minime di tassazione in tutta Europa».
In Sardegna la disoccupazione è altissima. Lei una volta ha detto: «Non emigriamo: esportiamoci». Che cosa voleva dire?
«Da ragazzo sono emigrato a Milano, ma da lì prima ho portato lavoro a casa, in Sardegna, poi ho esportato innovazione nel mondo. Oggi più che emigrare bisognerebbe imparare. Mancano i programmatori: in Italia abbiamo il mito dell’idea, ma non le persone in grado di realizzarla usando il linguaggio dell’innovazione. Di recente Barack Obama, con un video, ha invitato i ragazzi americani ad applicarsi nell’informatica: “Non usate i social network, inventatene uno, fatelo per il futuro degli Stati Uniti”. Ci sarebbe bisogno di un approccio simile in Italia». Intanto Soru fa la sua parte: manda i suoi ingegneri e la figlia Alice (nel loro tempo libero) in giro per le scuole di Cagliari a insegnare, anche attraverso il gioco, le basi dell’informatica ai ragazzi.