Gli italiani nell’inferno di ghiaccio
QUATTRO CONNAZIONALI IMPEGNATI IN DUE SPEDIZIONI, SONO STATI UCCISI DALLE VALANGHE PROVOCATE DAL SISMA. L’ODISSEA DEI SOPRAVVISSUTI PER METTERSI IN SALVO
Kathmandu ridotta a un cumulo di macerie. Il numero delle vittime che sale di ora in ora. E l’impressione che continuerà a farlo ancora per molti giorni. Almeno fino a quando i soccorsi non avranno esplorato ogni vallata, non avranno raggiunto ogni singolo villaggio abbarbicato sulle montagne e non avranno fatto la conta dei vivi e dei morti, imprigionati tra i picchi di una regione conosciuta come il Tetto del mondo. Non sarà facile. Un Paese che sulla cartina geografica sembra minuscolo, all’indomani del disastroso terremoto di sabato 25 aprile appare come una distesa sconfinata di roccia e ghiaccio. «Muovere i soccorsi su un territorio che è circa la metà dell’Italia», commenta un volontario del soccorso alpino, «coperto per il 90 per cento dalle montagne più alte del mondo e abitato da 30 milioni di persone, è un’impresa senza precedenti». Sul posto arrivano mezzi e aiuti da ogni angolo del pianeta e la missione dei soccorritori viene seguita ovunque con grande apprensione per la presenza di turisti, alpinisti, studiosi ed esploratori di tutte le nazionalità. Compresi gli italiani, che dal 1954, data della storica conquista del K2, sono diventati tra i più assidui frequentatori degli 8 mila, anche quelli nepalesi.
L’ANGOSCIA DEI FAMILIARI
Il silenzio sceso sulle comunicazioni dopo il boato del terremoto, delle valanghe e delle frane di sabato 25 aprile, è calato come una cappa di gelo a 10 mila chilometri di distanza, nelle case di familiari e amici tenuti inchiodati davanti al televisore, in attesa di uno squillo, di una notizia, di un messaggio di poche parole. La prima a uscire dal silenzio con una chiamata