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IL MEDICO-EROE DI LAMPEDUSA L’uomo che salva i migranti adesso punta all’Oscar

PIETRO BARTOLO INTERPRETA SE STESSO NEL FILM SCELTO PER RAPPRESENT­ARE L’ITALIA ALLA STATUETTA PIÙ AMBITA. E QUI CI RACCONTA COME HA RIDATO LA VITA A UNA GIOVANE ERITREA... «MI ACCORSI ALL’IMPROVVISO DI SENTIRE UN BATTITO»

- Di Livio Colombo

Io l’ho vista da morta. Adesso posso vederla da viva». Quando parla di Kebrat, la ragazza eritrea che il 3 ottobre del 2013 fu deposta esanime sul molo Favaloro di Lampedusa insieme con altri tre cadaveri e lui prendendol­e la mano sentì un flebile battito e dopo 20 minuti di rianimazio­ne riuscì a salvarla, finalmente il dottore si apre a un mezzo sorriso. Lui, Pietro Bartolo, non ha recitato ma è sempliceme­nte stato se stesso nel film-documentar­io Fuocoammar­e, che ha vinto l’Orso d’oro a Berli- libro che ha scritto con la giornalist­a Lidia Tilotta, Lacrime di sale. È la sua storia, l’involontar­ia epopea di un figlio di pescatore che torna nella sua Lampedusa da medico per curare i compaesani e dal primo sbarco di tre tunisini nel 1991 («In Paese dissero: sono arrivati i turchi») ne ha visti passare 300 mila. Un libro che racconta letteralme­nte i sommersi e i salvati, «senza enfatizzar­e, anzi, abbiamo fatto la cosa contraria», racconta Tilotta, «anche perché è stato devastante: io e Pietro man mano ci leggevamo le pagine e ogni volta piangevamo». «Forse sono il medico che ha fatto più ispezioni cadaverich­e al mondo: quasi mille», dice lui, che per tanto tempo ha raccontato le sue emozioni solo alla moglie Rita, di cui è innamorato dal tempo delle superiori a Siracusa. Poi, invece, a Gianfranco Rosi, che lo ha seguito all’opera così a lungo da non accorgersi neanche più della telecamera, ha detto che «sì, quel film doveva farlo, l’ho costretto a farlo, per cercare di porre fine a questa vergo-

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