L’HA PRESA A FUCILATE
Antonella Russo (sopra, a sinistra) aveva denunciato invano il marito Antonio Mensa (sopra, a destra), che l’ha uccisa nel 2013. A destra, la loro figlia Nancy Mensa, 22. contro mio padre. Lo Stato non ha fatto il suo dovere. «Negli ultimi dieci anni 1.600 bambini e ragazzi hanno vissuto lutti simili al mio. Che cosa si fa per loro, per noi? Le istituzioni provvedano al nostro sostegno economico. Non siamo figli di un dio minore. Siamo come i familiari delle vittime di stragi terroristiche o delitti mafiosi. Ci spetta un sostegno economico. Non è un’elemosina. Mi batterò con il mio avvocato, Emanuele Tringali, affinché sia approvata una legge che sancisca questo diritto. Se non ce la faremo in Italia, andremo alla Corte di Strasburgo. A me non interessa suscitare compassione. Sono felice nella mia infelicità. Ho tante cose belle. Le vivo, con la consapevolezza che sono un dono. Ho un fidanzato, siciliano come me, che lavora a Milano. Il nostro è un solido rapporto a distanza… ravvicinata, perché in realtà ci vediamo tantissimo. Quando non ho lezione, trascorro molto tempo da lui. Stiamo bene insieme. I suoi genitori sono meravigliosi. Mi hanno praticamente adottata. Sono eccezionali anche i miei nonni materni; loro accudiscono il fratellino, che ora ha sette anni. Ho una sorella maggiore, con la quale vado più che d’accordo. Siamo intime e complici. Ci vogliamo un bene dell’anima. Sono circondata d’affetto. E ringrazio Dio per questo. Perdere i genitori così presto e in questo modo è una ferita che resta per sempre. Ma non ha senso smettere di campare e maledire il destino. Bisogna andare avanti. Anche se il cuore a volte, spesso, è molto pesante. Ho reagito nella speranza che loro, da lassù, di me». E forse anche della sua battaglia: una legge per 1.600 vittime viventi dei femminicidi.