IL DOLORE DEL PAESE
Una coppia
Quelche ha profondamente colpito nell’atroce esecuzione di Pontelangorino di Codigoro (Ferrara), messa in atto da due adolescenti nei confronti dei genitori di uno dei due, non è soltanto l’uso dell’ascia, adottato per massacrarli nel sonno, colpendoli più volte alla testa; non è soltanto l’utilizzo dei sacchetti della spazzatura, legati con lo scotch intorno al loro collo, forse, per non vedere l’orrore negli occhi delle vittime; non è soltanto l’essere diventato sicario, a 17 anni, di Manuel che, alla maniera di Romanzo Criminale o di Gomorra, accetta 80 euro di anticipo e mille dopo l’omicidio per liberare l’amico dal «macigno sul cuore» rappresentato dai suoi genitori; non è soltanto che Riccardo, il mandante sedicenne dell’omicidio,
non abbia trovato altra risposta alle umilianti modalità educative dei suoi genitori, se non farli giustiziare
e che, mentre questo avveniva, i poveretti invocassero il suo aiuto per essere salvati; e, infine, non è soltanto che queste atroci imprese siano, come per Erika ed Omar, favorite e rese estreme dall’assunzione di droga; ma è, anche e tragicamente che,
dopo il delitto, a casa di Manuel, i due ragazzi si siano messi a giocare alla
PlayStation. È questo un inequivocabile segnale da cogliere, un aspetto del dramma che, assolutamente, non va trascurato né sottovalutato. Perché, per tanti cosiddetti millennials, «analfabeti emotivi», come li definisce Umberto Galimberti, ma alfabetizzati virtualmente assai denza da droghe, che precocemente assumono, e da internet, con la fuga nel mondo virtuale, da cui apprendere e
imitare anche modelli comportamentali mediati da videogiochi violenti e criminali
(grazie ai quali esorcizzare l’orrore e considerare la morte un clic), possono rappresentare la pericolosa alternativa alla scuola, alle fatiche e alle gioie della vita quotidiana, ai rapporti e agli scambi con gli altri, alle relazioni affettive, alla creatività, alle esperienze e alle responsabilità del crescere. «Lui e altri amici», racconta un’amica, «avevano preso di mira un ragazzo handicappato e gli avevano fatto sniffare zucchero come fosse cocaina. Avevano filmato la scena e l’avevano pubblicata su Facebook. La madre era venuta a saperlo, aveva fatto intervenire i Carabinieri, la Procura dei minori, gli assistenti sociali. Successe un finimondo, la mamma del ragazzo poi ritirò la denuncia e tutto finì in niente. Col senno di poi dico che sarebbe stato meglio andare fino in fondo. Una bella lezione sarebbe servita e Manuel non si ritroverebbe in questa orribile vicenda».
E RICCARDO AVEVA INSULTATO L’ARBITRO
Su Riccardo circolano poche voci. Gli amici lo descrivono come un timido, ma in ambienti sportivi c’è chi sostiene il contrario. Titolare nelle giovanili di una squadra locale, a dicembre ha preso l’arbitro a male parole. Il direttore di gara lo ha espulso e lui non ha smesso di insultarlo. «È come se di colpo fosse impazzito», dice un testimone, «lo ha fatto con una violenza verbale che ha lasciato tutti di sasso e la squalifica per tre giornate ci è sembrata una sanzione clemente. A questo punto la Procura potrebbe chiedere il referto arbitrale per capire se già a dicembre il ragazzo dava segni di squilibrio».