PUBBLICHIAMO LE FOTO DI CHI CI MALTRATTA
Cara Michelle, ho letto che esistono blog che hanno come “missione” quella di pubblicare le foto di chi ha ucciso o maltrattato le donne. Ma secondo te può essere davvero utile alla causa contro la violenza? Caterina
Cara Caterina,
non so se ti sei mai soffermata a considerare il fatto che, quando i giornali parlano di femminicidio, pubblicano sempre la foto della vittima e - soprattutto fino a qualche anno fa - molto di rado quella del suo carnefice. È un dato di fatto che io stessa avevo trascurato ma sul quale mi ha aperto gli occhi uno studio interessantissimo condotto da Simona Valente, che nel 2013 ha creato la prima banca dati (sul sito Internet www. inquantodonna.it) della violenza sulle donne. Scendendo più nello specifico, Simona Valente ha notato che, mentre le foto delle vittime sono pubblicate nel 97 per cento dei casi quando sono giovani e avvenenti (percentuale che scende in maniera direttamente proporzionale all’aumentare dell’età), fino a prima del 2010 alle foto degli stalker e degli assassini si aggiungevano (sempre che venissero pubblicate) le pecet
te nere sugli occhi. Anche quando questi uomini erano rei confessi e recidivi e - naturalmente - sempre che non fossero già irriconoscibili perché ripresi di spalle, o da molto lontano. L’inchiesta di Simona Valente mette in luce molti altri aspetti del nostro modo di “raccontare” la violenza che sono meritevoli di rifl essione: per esempio, il fatto che in prima battuta i colpevoli siano immancabilmente descritti da familiari, vicini e conoscenti come persone «normalissime», dedite al lavoro, alla famiglia... Cittadini irreprensibili che all’improvviso “impazziscono” e uccidono. Solo dopo emergono dettagli che delineano un quadro ben diverso e dal quale si capisce bene come l’omicidio non sia quasi mai il risultato di un raptus di follia, ma rappresenti al contrario il momento culminante di un’escalation di discriminazioni, prepotenze, maltrattamenti e violenze.
Credo che pubblicare le foto di questi uomini sia
molto giusto, e non solo per una questione astratta di parità (la parità, tra l’altro, è una faccenda molto, molto concreta): penso per esempio a quante volte ci capita di leggere di uomini che hanno molestato più donne e dai quali probabilmente ci si potrebbe difendere meglio se fosse possibile conoscerne le fattezze. Anche considerato che in questi casi non scatta quasi mai l’arresto immediato e che - tra sconti per buona condotta e varie riduzioni della pena - molti colpevoli si ritrovano fuori dal carcere dopo poco tempo. Liberi di continuare a delinquere. Perché devono essere protetti dall’anonimato? È bene che tutti possano guardarli in faccia, i molestatori, gli stalker e gli assassini.
RICONOSCERLI ED EVITARLI SE MOSTRIAMO I LORO VOLTI, SALVIAMO EVENTUALI NUOVE VITTIME CHE POSSONO