Antonella Clerici
Con Vittorio le nozze possono aspettare
Maelle è nel vialetto di casa in bicicletta. Ogni tanto chiama mamma Antonella per farle vedere quanto è diventata brava ad andare senza le rotelle. È il giorno dopo l’esordio di Standing Ovation, il nuovo talent prodotto da Ballandi Multimedia che la Clerici conduce su Rai 1 il venerdì sera, e il telefono non smette di pigolare, tra notifiche e telefonate: «È sempre così: quando va bene, ti cercano tutti. Ogni tanto, specie quando i nostri figli reclamano attenzioni, dovremmo tutti imparare a staccare il telefono», sorride Antonella, che però di quei 4 milioni e passa di spettatori rimasti incollati al suo show
è molto fiera. Il format non potrebbe essere più “antonelliano”: coppie di genitori e figli cantano, giudicate da un “parlamentino” di 300 spettatori in studio e da tre giudici vip, Romina Power, Nek e Loredana Berté. Su Twitter la criticano per aver “rubato” due terzi della giuria vip ad Amici di Maria De Filippi. «Sulla tv generalista Twitter non ci azzecca mai: più se ne twitta male, più gli ascolti vanno bene. La giuria di Amici cambia sempre, e poi non volevo rinunciare alla visione tra- sgressiva di Loredana Berté né alla sensibilità musicale di Nek. Romina invece l’ho voluta perché volevo portasse una visione internazionale anche dei rapporti tra genitori e figli». A proposito di De Filippi: dopo Sanremo, le voci di un suo avvicinamento alla Rai sono sempre più insistenti. Ne sarebbe contenta, scontenta o indifferente? «Con Maria ho da sempre un ottimo rapporto. Mi piace il suo essere schiva, quasi timida, senza fronzoli. Ci lavorerei volentieri e penso che non saremmo in competizione, anche perché a lei di fare la conduttrice in fondo non interessa: lo fa perché se c’è lei gli ascolti salgono, altrimenti sarebbe felicemente una autrice e produttrice. Detto questo, Maria in Rai mi pare francamente fantascienza: a Mediaset non la lascerebbero mai andar via». Le coppie di Standing Ovation sono state selezionate tra oltre 2 mila. Osservandole, che cosa ha capito dei rapporti tra i ragazzi e i loro genitori? «Innanzitutto che è vero il cliché
« DOVREMMO IMPARARE A STACCARE TUTTO QUANDO I NOSTRI FIGLI RECLAMANO LA NOSTRA ATTENZIONE»
secondo cui esiste un rapporto privilegiato tra i padri e le figlie e tra le madri e i figli. Poi che spesso, quando raccontiamo i nostri ragazzi, lo facciamo per lo più attraverso la lente deformante delle grandi città, li immaginiamo tutti di Roma o di Milano. E invece l’Italia è soprattutto provincia e, con i tempi morbidi della provincia, genitori e figli hanno un rapporto maggiormente basato sulla quotidianità e sulla condivisione. Le loro sono relazioni più complici, in cui le conflittualità sfumano più facilmente». Antonella bambina avrebbe partecipato in coppia con mamma o con papà? «Con mio papà perché, per quanto schivo, per farmi contenta non mi avrebbe mai detto di no. Con lui ho sempre avuto una grande complicità: quando a vent’anni feci la mia prima fuga d’amore, lo confessai a lui e non a mamma, che pativa un po’ le mie turbolenze sentimentali». Anche lei più complice col papà che con la mamma, quindi? «Con lei avevo un rapporto conflittu- ale e simbiotico insieme. Da ragazza era bellissima e sognava di fare l’annunciatrice televisiva, ma mio papà era gelosissimo e così, dopo il suo diploma in ragioneria, la sposò e di fatto tarpò le ali a quel sogno. Per questo, mamma ha sempre visto nel mio lavoro in tv la realizzazione delle sue aspettative, pur senza mai sostenermi davvero e anzi incoraggiandomi a studiare. La laurea in Giurisprudenza che mi spinse a prendere, a 23 anni e mezzo, è stata la mia coperta di Linus, che mi ha fatto sempre sentire libera di dire: “Se non va, posso sempre fare il magistrato”». Oggi quando si parla di rapporto genitori-figli si finisce sempre a discutere di distanze e incomunicabilità. «La distanza c’è sempre stata, ma se oggi sembra più insormontabile temo la colpa sia delle mamme. E lo dico a partire da un mea culpa: mia figlia Maelle mi reclama, vuole il mio tempo e le mie attenzioni, ma deve strapparli a un lavoro impegnativo, legittime ambizioni personali, una vita piena. Le donne che lavorano, per ambizione, necessità o anche solo per il piacere di farlo, faticano poi a staccare davvero, quando sono a casa, come se dedicarsi solo a casa e famiglia fosse qualcosa che le sminuisce. Il risultato è che i figli si allontanano». Come si trasforma un mea culpa in una soluzione? «Serve un equilibrio. Le nostre ambizioni sono sacrosante, ma non c’è nulla di male a spegnere il telefono quando si rincasa e concentrarsi su quello che ci raccontano i figli, o cantare con loro, come faccio io con Maelle». Su Wikipedia, Maelle di cognome fa Clerici. Come mai? «È un errore, lei si chiama Martens come il suo papà ( Eddy, ex compagno
«Con papà ho sempre avuto grande complicità. Con mamma c’era invece un rapporto conflittuale e simbiotico»
della Clerici, ndr), perché è un bel cognome e perché è giusto così. Su questo sono tradizionalista». È vero, come si rumoreggia, che ci sono ancora tensioni tra voi? «Le cose vanno bene, più passa il tempo, più le cose si appianano. Lui è tornato a vivere in Belgio ed è felice, perché in fondo in Italia non si sentiva davvero a casa. Ha aperto un barber shop etnico che va benissimo e ha uno splendido rapporto con nostra figlia. A causa dell’età della bimba e della distanza col Belgio, non passano insieme i canonici weekend, ma fanno le vacanze assieme, si vedono quando vogliono. E io sono contenta, perché lui la mette un po’ in riga, è più severo di me e ogni tanto ce n’è bisogno... ( ride, ndr)». Paparazzate alla mano, anche la sua relazione con l’imprenditore Vittorio Garrone prosegue serena. E siete stati fotografati insieme a due dei tre figli di lui. È a suo agio in questa sua nuova famiglia allargata? «Per me è la prima volta in una situazione dai contorni “frastagliati”, ma non definirei la nostra una famiglia allargata. Io sto con Vittorio e i suoi figli sono maggiorenni, autonomi e indipendenti. Hanno una mamma e io sono per indole molto rispettosa dei ruoli e dei tempi di tutti».
Gossip alla mano, invece, stareste per sposarvi. «La nostra è una grande storia d’amore, tra noi c’è una passione forte e non sentiamo il bisogno di aggiungere le nozze a tutto questo. Gli amori in genere vanno così: ci si conosce, ci si fidanza, ci si sposa, si fanno figli e poi ci si lascia. Ecco, io preferisco fermarmi alla seconda tappa e godermi la complicità con Vittorio, questa vita su e giù tra Roma, Milano e Genova e le fughe d’amore che ci regaliamo per stare soli, sparendo dai radar di tutti. Dello stato civile non ci importa, magari ci sposeremo tra dieci anni o quando saremo nonni. Un matrimonio a consuntivo, insomma ( ride, ndr)».
Tra voi è stata subito una storia seria? «Come direbbe Eugenio Montale: “È raro, ma accade”. Ci siamo riconosciuti subito, perché ci somigliamo, abbiamo lo stesso stile di vita, la stessa convinzione che – lavoro a parte – il tempo sia solo per gli affetti veri. E poi Vittorio è un uomo che fa il tifo per me. In passato è accaduto che chi stava con me soffrisse il mio lavoro e la mia popolarità, e ci sta, possono essere ingombranti. Lui invece non solo comprende la serietà del mio lavoro, ma è il mio primo fan e mi aiuta ad affrontare tutto con leggerezza». A proposito di lavoro, dicono che le avessero sconsigliato di accettare Standing Ovation. «È vero. Ma io sentivo che per me poteva essere un buon punto di ripartenza e mi ci sono buttata a capofitto. Sa qual è il bello della mia età? Che, come ha detto Meryl Streep, nessuno può più dirti “tu devi”, al massimo può chiederti “vuoi?”. Perché se a 20 anni devi studiare, a 30 lavorare, a 40 pensare ai figli, a 50 ti sei guadagnata il diritto di scegliere da sola cosa è meglio per te».