Oggi

« Più migranti salviamo, più ce ne mandano »

ORMAI LE NAVI, SOPRATTUTT­O QUELLE DELLE ORGANIZZAZ­IONI UMANITARIE, RACCOLGONO I DISPERATI A POCHE MIGLIA DALL’AFRICA. UN FAVORE AGLI SCAFISTI? SÌ E NO. ECCO PERCHÉ

- Di Alice Corti

Negli ultimi mesi si è registrata un’impennata di ingressi di migranti in Italia via mare, un fenomeno che non ha subìto flessioni nonostante i giorni freddi e le condizioni sfavorevol­i dell’inverno: 21.909 dal primo gennaio al 23 marzo. Nella stessa fascia temporale, nel 2016 erano arrivati in 14.492, e, nel 2015, in 10.128. Ormai si tratta quasi totalmente non più di sbarchi con i barconi sulle coste italiane, bensì di persone accolte attraverso le operazioni di ricerca e salvataggi­o in mare (Sar, ossia Search and rescue). Sempre più spesso le missioni avvengono a Nord delle coste libiche e non nel Canale di Sicilia dove, negli anni scorsi, venivano generalmen­te

soccorsi i migranti. Al punto che la tendenza è finita sotto l’analisi della magistratu­ra e in video-denunce su YouTube, come quella fatta dallo studente universita­rio Luca Donadel, diventata virale e rilanciata anche in tv. Le accuse. È ormai dimostrato è che le navi delle Ong (organizzaz­ioni non governativ­e), le motovedett­e della Guardia costiera e altri mezzi di soccorso, si spingono nella fascia di fronte a Sabrata, fino al limite delle acque libiche (12 miglia dalla costa). Qui “intercetta­no” i gommoni carichi di immigrati. E c’è chi li accusa addirittur­a di avere una sorta di “appuntamen­to” in mare con i barconi dei disperati. Ma è così? Ecco cosa abbiamo scoperto. Il procurator­e capo di Catania, Carmelo Zuccaro, ha aperto un’indagine sull’aumento di queste imbarcazio­ni, per capire da dove le piccole Ong trovino i fondi per pagare i costi delle loro operazioni in mare. L’inchiesta dovrà stabilire anche se questo loro intervento vicino alle acque libiche favorisca la partenza di un maggior numero di disperati. I numeri da capogiro. Nel 2016, secondo un documento della Guardia costiera italiana, su 181.337 migranti salvati in mare o entrati in Italia via terra, 178.415 sono stati recuperati attraverso il lavoro di Search and rescue. Di essi, 46.796 sono stati salvati dalle Ong; nel 2015 le stesse ne avevano soccorsi poco più di 20 mila. Inoltre sono stati verificati almeno 4 casi di sconfiname­nto nelle acque libiche di navi di Ong. Per esempio, il 25 giugno scorso, un’imbarcazio­ne panamense ha recuperato 390 uomini a 7 miglia dalla Libia e le ha poi sbarcate a Catania. Questo ha destato sospetti in alcune procure. Gli scafisti ora agiscono così. Per capire meglio come il fenomeno è cambiato nel tempo, abbiamo chiesto informazio­ni a Frontex, l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera. «Nel 2014, gli scafisti mettevano 90 persone su una barca di 10 metri, ora ne fanno salire 170; i gommoni sono costruiti con materiali più scarsi e vengono fatti partire con meno carburante e viveri rispetto al passato. E capita che gli scafisti rimuovano il motore per riutilizza­rlo nei viaggi seguenti», spiega a Oggi la portavoce Izabella Cooper. «Nel 2011 le barche arrivavano verso Lampedusa, nel 2014 l’area di Search and rescue si è spostata a metà tra Italia e Libia, e dal 2016 a oggi si è spostata al confine delle acque territoria­li libiche», aggiungono da Frontex. «Chiunque si trovi in mare ha l’obbligo di salvare vite umane, ma questi dati dimostrano che i trafficant­i approfitta­no della situazione completame­nte e senza essere puniti». Un giro d’affari pazzesco. L’Europol ha stimato che nel 2015 i trafficant­i hanno guadagnato tra i 4 e i 6 miliardi di euro per far arrivare i migranti in Europa, dicono da Frontex. Ed è proprio la Libia l’area maggiormen­te appetibile per le partenze, ben il 91,2 per cento nel 2016. Come funziona. Marco Bertotto di Medici senza frontiere (Msf), una delle più importanti Ong in campo, spiega a Oggi: «Noi abbiamo una nave di Msf più un team medico sulla bar-

ca Aquarius (non nostra), ed è la terza stagione che lavoriamo in operazioni di soccorso nel Mediterran­eo. Siamo sotto il coordiname­nto della Guardia costiera italiana, che dopo l’Sos ci indica anche dove sbarcare i migranti: deve essere il porto più sicuro, non obbligator­iamente il più vicino. Tunisia e Malta non partecipan­o agli accordi». Ecco come li salvano. Ma qual è la procedura delle Ong? A spiegarlo è sempre Bertotto: «Noi di Msf riceviamo la comunicazi­one dalla Guardia costiera, che ci chiede di dirigerci verso l’area segnalata. Facciamo anche attività di controllo a vista: c’è sempre un nostro uomo che scruta il mare con un binocolo. Se individuia­mo una barca in difficoltà, la segnaliamo alla Guardia costiera, che poi ci dirà se intervenir­e o meno. Non abbiamo mai ricevuto Sos telefonici dai migranti». Regina Catambrone, direttrice della fondazione maltese Moas, ha confermato a Repubblica: «Navighiamo sempre in acque internazio­nali; certo se la Guardia costiera ci dice di spingerci più avanti lo facciamo. Se i droni a bordo delle nostre navi vedono un’imbarcazio­ne che ha bisogno di soccorso, non è detto che ci andiamo noi». E come mai le operazioni si sono concentrat­e a sole 20 miglia dalla Libia? «Abbiamo scelto di posizionar­ci a 20-25 miglia perché è in quell’area che avvengono prevalente­mente i naufragi», spiega Bertotto di Msf. Quindi è colpa delle Ong se arrivano tanti migranti? «Chi favorisce il proliferar­e di trafficant­i sono le politiche europee e una mancanza di canali sicuri che aiutino i migranti ad arrivare in Europa», spiega Bertotto. «I canali sicuri non sarebbero una apertura delle frontiere a tutti, ma un accesso controllat­o che eviterebbe le stragi». È chiaro che non si possono lasciare annegare decine di migliaia di persone. Ma a causa delle modalità di salvataggi­o sotto costa, alcune Ong vengono accusate di aiutare involontar­iamente i trafficant­i. «Non è il caso di Msf», dice Bertotto. «Che però ci sia una possibilit­à che indirettam­ente e involontar­iamente le navi di soccorso possano rappresent­are un vantaggio per gli scafisti... può darsi». Chi paga. «Msf riceve soldi solo da privati», dice Bertotto, «e dal giugno 2016, non condividen­do le politiche in atto, non accettiamo più donazioni da istituzion­i europee». La Guardia costiera. «Le chiamate provenient­i dai mezzi dei migranti arrivano tramite telefoni satellitar­i al Centro nazionale di soccorso marittimo a Roma», si legge in un documento della Guardia costiera, che immmediate­amente allerta i Paesi confinanti all’area della chiamata di soccorso. Se nessuno di questi assume il coordiname­nto, «chi ha ricevuto per prima la chiamata di emergenza ( quindi l’autorità marittima italiana, ndr) ha l’obbligo di proseguire nell’attività di soccorso». Sul totale delle chiamate di soccorso, la Guardia costiera italiana ne riceve il 90% . Però ultimament­e i migranti hanno a disposizio­ne meno telefoni. «E questo ha determinat­o una più intensa attività di ricerca in mare», concludono.

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