Un nuovo mistero per Yara:
le calze sporche di sangue di Giangavino Sulas
« Così, al primo impatto, secondo te è tre mesi che è lì o l’hanno portata dopo?». «Ma... te lo dico dopo». È il 27 febbraio 2011. Sono passate 24 ore dal ritrovamento del corpo senza vita di Yara. Due agenti della polizia scientifica sono saliti prima su una gru e poi sul tetto di un capannone davanti al campo di Chignolo dove giaceva la povera ragazza. Con una telecamera stanno realizzando un video inquadrando il campo e il punto in cui Yara è stata ritrovata. Visuale perfetta. La vegetazione è rada e bassa. Le macchie scure sono perfettamente visibili come dimostrano le immagini che Oggi è in grado di mostrare in esclusiva. E il dubbio assale i due agenti: «Ma secondo te è tre mesi che è lì o l’hanno portata dopo?», chiede uno dei due al collega che non sa o non vuole rispondere. Concludono il loro lavoro e si tengono i loro dubbi. Le indagini si svilupperanno in tutt’altra direzione e non verrà sentito neppure Iro Rovedatti, l’elicotterista della Protezione civile che in quei tre mesi si è alzato per 30 ore di volo dalla pista di Valbrembo passando sempre, come percorso obbligato, sul campo di Chignolo: «Se ci fosse stata non mi sarebbe sfuggita», rivelò a Oggi in una lunga intervista. La Procura decise di non convocarlo. Così come la Procura non ha mai spie-
gato perché Yara, malgrado indossasse le scarpe e soprattutto malgrado non avesse ferite ai piedi come accertato dall’autopsia, avesse invece le calze sporche del suo sangue. Lo rivela la relazione del Ris che Oggi ha trovato fra le 69 mila pagine del fascicolo processuale. Eccola.
IL PROFILO GENETICO APPARTIENE A LEI
«In seguito alle analisi di laboratorio condotte sui due calzini in reperto è stato possibile estrapolare un unico profilo genotipico femminile riconducibile a Yara Gambirasio da ambedue i prelievi effettuati in corrispondenza di tracce ematiche». È la conclusione della relazione del Ris sull’analisi delle chiazze «bruno-rossastre» trovate sui calzini che la ragazza indossava quando è stata ritrovata senza vita nel campo di Chignolo. Ma è soprattutto la conferma, mai ammessa durante il processo di primo grado a Massimo Bossetti, che le calze di Yara, malgrado fossero protette dalle scarpe, erano sporche di sangue. Il sospetto di alcuni, quindi, è che lei avesse le sneakers sfilate e che poi le avesse o gliele avessero rimesse in tutta fretta perché furono ritrovate con le stringhe slacciate. Era stato, nell’udienza del 3 febbraio 2016, il genetista della difesa Marzio Capra a fare questa rivelazione: «Due campionamenti hanno evidenziato la presenza di tracce di sangue fra le calze le scarpe. Mi sapete spiegare da dove provengono? A chi appartengono?». Le domande di Marzio Capra caddero nel silenzio. Nessuno rispose. E anche nelle motivazioni della sentenza di condanna, la Corte parla solo di chiazze bruno-rossastre ma non di sostanza ematica. Leggendo la relazione del Ris si capisce il perché. Quelle tracce le avevano trovate e analizzate. Avevano scoperto la presenza di emoglobina umana e lo sottolineano: «Tale saggio ha fornito esito positivo per ambedue i campioni testati». Poi avevano accertato che «in nessuno dei campioni è stata rilevata presenza analiticamente apprezzabile di Dna maschile». Scrivono infine i carabinieri del Ris: «È stato possibile estrapolare un unico profilo genotipico femminile riconducile a Yara da am-
bedue i prelievi effettuati in corrispondenza delle tracce ematiche». È sangue di Yara quindi, ma qualcuno, per tentare di ricostruire la dinamica del delitto, si è posto la domanda: «Come mai aveva le calze insanguinate malgrado indossasse le scarpe?».
«SERVE UNA SUPERPERIZIA»
Quando, come e perché quei calzini si sono sporcati di sangue, visto che il sangue non è stato scoperto in prossimità dell’elastico, dove le macchie bruno- rossastre erano più evidenti, ma sulla pianta del piede? Quindi la ragazza senza scarpe avrebbe camminato calpestando il suo sangue. Dove? Sul campo di Chignolo pieno di fango e pioggia? «Questa operazione è avvenuta in un luogo coperto», dicono i difensori di Massimo Bossetti. «Noi siamo convinti che il corpo di Yara sia stato abbandonato a Chignolo poco tempo prima del ritrovamento. Ecco perché lo stesso Pm lo cercava ancora al cantiere di Mapello incaricando delle ricerche, 24 ore prima, un archeologo forense». Quando il Ris analizza le scarpe scrive: «Si è posta particolare attenzione sulle stringhe di ambedue perché rinvenute slacciate all’atto del ritrovamento del cadavere. Sono stati eseguiti cinque prelievi…». E prosegue: «Diagnosi generica di sangue. Tale saggio ha fornito esito positivo per tutti i prelievi testati». E ancora: «Risultati: un unico profilo genotipico femminile riconducibile a Yara da tre prelievi su tracce ematiche sul legaccio destro della scarpa destra». Quindi anche sulle stringhe sangue e Dna solo di Yara che, come sappiamo era stata colpita nove volte con un’arma da taglio. Ma perché con le mani insanguinate avrebbe dovuto slacciarsi le stringhe, togliersi le scar pe senza lasciare alcuna traccia sulle tomaie e imbrattarsi i calzini? Queste sono le domande che porranno nel processo d’Appello i difensori di Massimo Bossetti: «Non ci hanno mai mostrato gli indumenti che la vittima indossava quella sera. Chiediamo di ispezionarli tutti e sottoporli a nuove analisi come è avvenuto in tanti altri processi, da Cogne (il pigiama del piccolo Samuele) a Garlasco ( le unghie di Chiara), da via Poma (il corpetto di Simonetta) a Perugia (il coltello). La cosiddetta superperizia è necessaria per chiarire ogni dubbio. Altrimenti non si può condannare Bossetti».