Amanda Knox contro Trump
Lui la difese ma lei dice: «Non gli devo nulla»
La prima volta che si sono “incontrati”, Amanda Knox era rinchiusa in un carcere di Perugia e Donald Trump stava chino su un computer a New York. Erano le nove e dodici del 30 settembre del 2011 e il futuro presidente degli Stati Uniti twittò: «Tutti dovrebbero boicottare l’Italia se Amanda Knox non verrà rilasciata. È assolutamente innocente».
BARACK OBAMA NON MOSSE UN DITO PER LEI
Il tycoon ribadì il concetto in svariate trasmissioni televisive, attaccò il pm perugino Giuliano Mignini («Quel pubblico ministero è un pazzo») e richiese a gran voce l’intervento del governo americano. E meno male che era ancora un privato cittadino, altrimenti avrebbe minacciato, sempre via Twitter, un attacco missilistico... In quell’occasione si vide tutta la differenza con Obama, che si disinteressò del caso Knox, e con la futura rivale Hillary Clinton, all’epoca Segretario di Stato, che liquidò la questione con un glaciale: «Noi non interferiamo in casi giudiziari esteri». Dopo un simile attacco in perfetto stile Trump contro l’Italia, come
È STATA ATTACCATA PER LE SUE POSIZIONI Amanda Knox, 29 anni. La ragazza di Seattle ha ricevuto molti attacchi per le sue posizioni anti-Trump. «Un tizio mi ha scritto: “Vergognati, sei solo una lunatica sinistrorsa”», rivela lei.
LUI LA DIFESE CON UN TWEET INCENDIARIO E UN BEL PO’ DI DENARO. LEI HA RISPOSTO CON MOLTE CRITICHE E IL TIFO PER LA CLINTON. ORA AMMETTE D’AVER INCASSATO LA DONAZIONE, MA RILANCIA: «NON GLI DEVO NIENTE»
se l’intero Paese, e non solo alcuni inquirenti, fosse responsabile di quell’errore giudiziario, il futuro presidente fece una donazione al fondo che raccoglieva soldi per finanziare la difesa della Knox. Donazione generosa ed elargita al riparo della pubblicità. Una riservatezza “ricambiata” da Amanda che, tornata in libertà, non ha ringraziato Trump e si è sempre dimenticata di menzionare la donazione ricevuta. Non solo. Durante la campagna per la Casa Bianca, la Knox si è schierata apertamente con Hillary, continuando a pubblicare sui social e sul West Seattle Herald severe critiche alle idee politiche e alla personalità di Trump. Un atteggiamento che The Donald ha sempre evitato di commentare in pubblico. Ma non in privato. E qui entra in scena il vicino di casa di Trump, l’imprenditore italoamericano Guido “George” Lombardi che, da quando il tycoon è stato eletto, non perde occasione di rendere pubblici i continui sfoghi privati di Donald contro Amanda e la sua “ingratitudine”. Il presidente, dice Lombardi, non si capacita di come la Knox sia diventata una sua “nemica” nonostante lui l’abbia abbondantemente difesa e foraggiata (si parla
INVITÒ GLI AMERICANI A BOICOTTARE L’ITALIA
Donald Trump, 70. Quando era solo un tycoon, nel settembre del 2011, invitò con un tweet (a fianco) gli americani a boicottare l’Italia qualora Amanda non fosse stata rilasciata.
di centinaia di migliaia di dollari). George rivela di esser stato lui a informarsi, su richiesta di Trump, circa la serietà e la fondatezza delle accuse contro la Knox. E The Donald esplose proprio dopo aver ricevuto il rapporto stilato da Lombardi, che spiegò al suo celebre vicino come in realtà il vero colpevole, Rudy Guede, fosse già stato condannato e che la Knox in realtà non avrebbe dovuto neppure essere arrestata.
«QUEL SUO TWEET FU CONTROPRODUCENTE»
La goccia che ha fatto traboccare il vaso della pazienza di Amanda è stata un’intervista rilasciata da Lombardi al New York Times, in cui vengono ribadite tutte le lamentele di Trump. In realtà nessuno ci aveva fatto caso, visto appunto che era solo George a parlare. Ma Amanda alla fine ha voluto rispondere e ha scritto una lettera al Los Angeles Times, innescando così una polemica che ha pervaso l’America da costa a costa. Sul Times californiano Amanda ha finalmente confermato di aver ricevuto delle donazioni da Trump, limitando però la sua gratitudine a un asciutto «thank you Mister President». Poteva fermarsi lì? Forse sì, ma la Knox non è famosa per il senso della misura. La ragazza di Seattle ha spiegato di dovergli solo quel “grazie” tardivo, e non certo una cieca fedeltà elettorale o l’automatica condivisione della sua politica, cose che potrebbe aspettarsi, secondo lei, solo «un leader di una repubblica delle banane». Amanda ha anche criticato il sostegno assai “poco diplomatico” che ricevette da Trump, rimarcando che alla fin fine quel tweet è stato controproducente, «avendo avuto come unico effetto quello di amplificare l’anti-americanismo già presente nell’aula del tribunale di Perugia». Insomma, con Amanda non si scherza: non è esattamente una Marilyn che sussurra rapita «Happy birthday, Mr President»...