INTERNET SI È ROTTO
LODICONOQUELLI CHE SI SONOARRICCHITI CONFACEBOOK, TWITTER & C. PERCHÉ I DANNI...
Internet ci ha migliorato la vita o ce l’ha peggiorata? Certo, a prima vista la risposta è facile. Come tutte le grandi innovazioni tecnologiche, se ha avuto successo vuol dire che funziona, è utile, è positiva. Se no avrebbe fatto la fine delle mille invenzioni dimenticate della storia dell’umanità, come le videocassette betamax, il monopattino a motore, la bicicletta anfibia o il cucchiaio bucato per chi è a dieta. Internet ha sfondato, e oggi è difficile immaginare di farne senza.
Per scrivere le righe che avete appena letto, ad esempio, ho fatto un salto su Google ed ecco apparire tante «invenzioni dimenticate o inutili». L’altra sera a Venezia, nell’ambito di un mega-evento organizzato dal grande gallerista Stefano Contini in onore dell’artista spagnolo Manolo Valdés, a un certo punto è sbucato Fausto Leali e ha iniziato una spettacolare performance canora. Avete presente il clamoroso attacco, a ugola spiegata, di A chi? Quello che lo rese famoso esattamente 50 anni fa? Be ’, come direbbe Carlo Conti, tale e quale nel 2017. E allora tutti a chiedersi: ma quanti anni ha Leali? Semplice. Telefonino allamano, due secondi ed ecco il risultato: 72. Ooooh…
Ma ci pensate, a vivere senza smartphone? Senza navigatore satellitare, meteo in tempo reale, le news, la fotocamera sempre intasca eWhatsappperm andare la foto del nipotino a mia mamma? Senza Facebook e Twitter e Instagram. Ma ecco, qui iniziano i guai. Perché ormai circola il fondato sospetto che proprio qui, nel territorio dei social network, qualcosa non funzioni più tanto bene, e i danni collaterali comincino a essere un po’ troppo rilevanti. Al punto da peggiorare la vita delle persone, o addirittura rovinarla. Altro che migliorarla.
Non sto dicendo niente di nuovo. Noi stessi di Oggi ci siamo occupati piùvolte dei latinegativi o addirittura fatali dei social network (anche in questo numero, a pag. 52). La novità è che gli stessi creatori di questi “mostri” ora sembrano rendersene conto. Mark Zuckerberg, il papà di Facebook, non sa più come fare a tenere sotto controllo la proliferazione di notizie false sulla sua piattaforma. Come Topolino-Apprendista stregone nel filmdi WaltDisney, il buonMark è alle prese con un’entità cresciuta troppo e troppo in fretta, e che si autoalimenta e si ingigantisce, unAlien virtuale che provoca effetti reali. Facebook, si scopre adesso, ha in giro per il mondo migliaia di persone che in 10 secondi devono decidere se censurare oppure no una data notizia, una foto raccapricciante, un video violento, una minaccia concreta, conil risultato chemagari viene censuratounpost innocente e lasciati circolare contenuti illegali e pericolosi.
Non basta. Anche il fondatore di Twitter si è iscritto alla categoria dei pentiti di internet (sebbene né lui né i suoi colleghi pensino di rinunciare agli immensi guadagni che hanno accumulato): EvanWilliams ha chiesto pubblicamente scusa per il contributo involontario dato dal suo social media alla vittoria di Donald Trump. Ma fin qui siamo nel campo delle opinioni politiche. Più interessante è la riflessione diWilliams sul fatto che internet premia ciò che la gente vuole vedere: e se la gente vuole vedere schifezze, tali schifezze prolifereranno, e Twitter & C le rilanceranno, in un circolo vizioso inarrestabile. Morale: «Internet si è rotto», dice Williams.
Come sempre, non voglio apparire “passatista”, né rimpiangere i tempi eroici delle macchine per scrivere e dei computer con le schede perforate. Ma internet si è rotto davvero, e bisogna dire chiaramente che a fracassarlo sono stati i social network. Quelli di cui miliardi di persone nel mondo, e milioni in Italia, sono diventati dipendenti. Soprattutto chi, adolescenti o Millennials, non possiede i sani anticorpi sviluppati da coloro che sono nati con la carta, i libri, i giornali, l’autorevolezza delle fonti, lo scetticismo verso chi le spara grosse, il culto della privacy e un’etica fondata su valori condivisi. Sì, chi considera internet un’opportunità e non una schiavitù adesso ha una responsabilità in più: proteggere i propri figli.