TRENTADUE MESI
DA QUASI TRE ANNI GIACEI N PARLAMENTO UNA LEGGE CHE PUÒ SALVARE DELLE VITE. MA ...
La scorsa settimana, dalle parti di Arezzo, è morta un’altra bambina, piccolissima, dopo essere stata dimenticata in auto, sotto il sole, per sei ore, dalla madre. Proprio come è successo in tanti altri casi simili, la mamma ha legato saldamente al seggiolino sua figlia Tamara, 18 mesi appena, si è messa alla guida ed è partita, verso l’asilo nido «Pinocchio». Poi, chissà, nella testa di Ilaria si è spento qualcosa. Cè stato un blackout cerebrale. Nessuno saprà mai quale direzione ha preso la sua mente, forse una grana di lavoro, forse un problema in famiglia, forse è stata distratta da una telefonata o forse niente di tutto questo. Sta di fatto che dalla routine quotidiana la piccola Tamara è sparita, come fosse già stata consegnata alle maestre. Nella testa di Ilaria su quel seggiolino posteriore la sua adorata Tamara non c’era più, era al sicuro, mentre la bambina si era serenamente addormentata, e non poteva immaginare quale destino atroce l’ attendeva. P areche Ilaria a metà mattinata fosse anche uscita dall’ufficio per un caffè, e fosse passata a pochimetri dalla Lancia Y in cui sua figlia stavamorendo.
Non riesco neppure lontanamente a figurarmi il suo trauma e il suo dolore, quando alle 14 è risalita in macchina, ha innestato la retromarcia e si è voltata indietro per uscire dal parcheggio, accorgendosi così della tragedia. Credo che nessuno sia in grado di immaginarlo. Certamente nessuno che abbia o abbia avuto figli piccoli, le gioie della nostra esistenza, i nostri tesori più grandi, quegli scriccioli che noi padri e madri saremmo disposti a proteggere e difendere a costo della vita.
Sembra che Ilaria non abbia mai avuto episodi di depressione o comportamenti anomali. È una donna e unamamma comemilioni di altre. Ora è indagata per omicidio colposo, perché laGiustizia quando vuole sa essere rapida e spietata («Èunattodovuto», dicono sempre). Intanto sul Web si sono scatenati i soliti sciacalli, aggiungendo dolore a dolore, come se un senso di colpa grande come una montagna per la povera Ilaria non fosse sufficiente.
Vi racconto tutto questo perché il dramma di Ilaria e Tamara poteva essere evitato. Da circa 32 mesi, infatti, giace in Parlamento una proposta di legge che chiede di rendere obbligatori i sensori acustici che segnalano la presenza di un bambino sul seggiolino. Si tratta di dispositivi testati ed efficienti, che costano pochi euro e si installano con facilità. Se fossero obbligatori, i neopapà e le neomamme acquisterebbero seggiolini già attrezzati, o farebbero montare il Car Baby Alert conuna spesa ridicola. E Tamara sarebbe ancora viva.
Trentadue mesi. Quasi tre anni. Un’eternità, un tempo infinito passato invano, per un banale codicillo che avrebbe portato via ai parlamentari soltanto pochi minuti della loro frenetica (per così dire) attività. Una norma che si poteva inserire in una legge di bilancio, in una milleproproghe, in una lenzuolata, in un salva-qualcosa (salva-banche, salva-taxi, salvadi tutto e di più, ma i bambini no). Ma niente, non c’è stato verso. Ha detto alla Stampa Gianni Melilla, primo firmatario della proposta di legge: «Èuna vergogna. Siamo sempre tutti d’accordo e ogni volta la norma viene accantonata».
Già. Il nostro Parlamento ha ben altro da fare. Per esempio sceneggiate scandalose come quella a cui abbiamo assistito giovedì 8 giugno, a proposito della nuova legge elettorale. Voto segreto che diventa palese, franchi tiratori, franchi traditori, insulti reciproci, urla sconnesse, sorrisini sotto traccia, caos permanente e inconcludenza patologica. Scene, purtroppo, a cui siamo abituati, ma stavolta con la partecipazione a pieno titolo dei grillini, quelli che il Parlamento volevano aprirlo come una scatola di tonno e invece ci si ritrovano ormai come topi nel formaggio. Dopo le amministrative di domenica il cosiddetto «quadro politico» si è ulteriormente incasinato. Chissà se e quando avremo un Parlamento degno di una democraziamatura. «Poi dice che uno si butta a sinistra», è una celebre battuta di Totò, in Totò e i re di Roma. Il guaio è che adesso uno non sa proprio più dove buttarsi.