« Il terrorista di Londra uccise ilmio gattino »
«QUANDO HO VISTOLA SUA FOTOIN TV», DICE FEDERICO DALMONTE, «M’ÈVENUTOUN COLPO: ERA ILGIOVANECHE TREANNI FAAVEVA PORTATO VIA LAMIA MIAO LINA PER DARLA INPASTOAUNCANE LUPO ». E SEQUALCUNO AVESSE INDAGATO... i abbattut I killer minu ti 8 dopo Bestiola Era u
Se ScotlandYard avesse dato retta alle segnalazioni provenienti dall’Italia oggi forse avremmo otto vittime in meno, la rete londinese del terrore sarebbe già smantellata da un pezzo e gli 007 di suaMaestà non sarebbero sotto accusa. Gli uomini della Digos avevano ragione. Da due anni tenevano d’occhio Youssef Zaghba, il terzo uomo dell’attentato di sabato 3 giugno a Londra. Avevano inserito il suo nome nel database delle polizie di tutta Europa e dal 2016 ogni volta che il ragazzo rientrava a Fagnano, il paesino d’origine dellamadre ai piedi dell’Appennino bolognese, lo marcavano stretto.
«L’HO RICONOSCIUTO»
Anche la Procura di Bologna s’era interessata di lui ma non avendo le prove di reati o di legami diretti con la rete del terrore non aveva potuto prendere provvedimenti. Sul conto del giovane jihadista Oggi ha però scoperto un oscuro episodio. Un fatto avvenuto tre
anni fa che nonostante la denuncia ai Carabinieri non è mai stato approfondito e che forse poteva offrire qualche interessante spunto investigativo. Lo rivela Federico Dalmonte, agricoltore di Fagnano, che quando ha visto in tv le foto segnaletiche dei tre terroristi del London Bridge, ha fatto un salto sulla poltrona. «Prima anco- ra che dicessero chi fosse», racconta, «io e mia moglie abbiamo urlato: “È lui!”. Non avevamo dubbi. Ce lo eravamo trovato davanti, nel prato fuori di casa la sera del 2 agosto 2014. Era con un ragazzino più giovane e si guardava in giro in modo strano. Non capivamo cosa cercasse e gli abbiamo indicato lamulattiera per tornare in paese dove aveva detto di abitare con i genitori». Ma Youssef probabilmente non aveva ancora trovato quel che cercava. Il ragazzo, è scritto nella denuncia, era come se non avesse capito l’indicazione e si stava incamminando nella direzione sbagliata. «Gli ho mostrato l’imbocco del sentiero», continua Dalmonte, «Youssef ha fatto pochi passi, s’è chinato e ha afferratoMiaolina, una gattina di due mesi. Gli ho detto di metterla giù, ma lui e l’amico si sono lanciati verso il paese. Gli sono corso dietro, ma erano più veloci di me. Li ho raggiunti in fondo alla mulattiera, davanti al cancello di una villa. Dietro
«IN PAESE LO DIPINGONO COME UN BRAVO RAGAZZO, MA SE PENSO A QUELCHEMI HAFATTOHO I BRIVIDI»
la recinzione un cane lupo abbaiava. I ragazzi non avevano più la gattina. L’avevano lanciata nel giardino e quando l’ho rivista era troppo tardi. Il cane l’aveva già afferrata e gli penzolava sanguinante dalla bocca. Mi sono girato verso Youssef, come per chiedergli come aveva potuto fare una cosa del genere, e lui mi ha risposto con uno sguardo beffardo, sprezzante. Ero choccato. Quel gesto di cattiveria mostruosami aveva lasciato di sasso. I due ragazzi se ne sono andati e io sono entrato a riprendermi la povera gattina chemi è morta tra lemani». Dalmonte il giorno dopo ha denunicato il fatto ai Carabinieri di Castello di Serravalle. E il 4 agosto è tornato davanti ai militari per dare l’indirizzo del ragazzo, a Fagnano, in viaGiusti 47, a casa della madre Valeria. «Non so che fine abbiano fatto quelle mie denunce», dice sconsolato Dalmonte, mentre seleziona il raccolto giornaliero di ciliegie, «ma quando sento la gente del paese parlare di Youssef come di un bravo ragazzo mi vengono i brividi. Un bravo ragazzo non commette una barbarie del genere». Il fatto già di per sé configura il reato di maltrattamento di animali e avrebbe offerto alla magistratura uno spuntoper intervenire. Ma se fosse sta- to analizzato più a fondo sarebbe anche potuto emergere un collegamento con la fatwa che lo Stato Islamico ha lanciato nell’ottobre 2016 contro i gatti, giudicati animali contrari allo spirito e all’ideologia del vero combattente musulmano.
LA MADRE È DISPERATA
Quali fossero le sue aspirazioni, Youssef lo aveva detto agli agenti che lo fermarono per un controllo in aeroporto a Bologna con biglietto di sola andata per Istanbul. «Vado a fare il terrorista», aveva risposto. Aveva con sé cellulare, cinque carte Sim e due iPad con foto e video che inneggiavano all’Isis e alla Guerra Santa. Era il 16 marzo. È passato poco più di un anno e sabato 3 giugno a LondraYoussef dalle parole è passato ai fatti. Lui e altri due invasati come lui, hanno lanciato un furgone contro i passanti, sono scesi impugnando coltellacci con lama in ceramica, si sono avventati sui passanti inermi e prima di essere abbattuti dalla polizia hanno fatto una strage. Youssef oggi viene timidamente definito italo-marocchino, ma è figlio dimadre italiana, con residenza e passaporto italiano e deve essere considerato a tutti gli effetti un italiano. Il primo (e si spera l’ultimo) a rendersi protagonista di un attacco terrorista in Europa. Valeria Collina, lamadre, oggi non si dà pace, perché forse aveva già letto tutto nel cuore e negli occhi del suo unico figlio maschio. Convertita all’Islam e rientrata a Fagnano in provinciadiBolognadopo essersi separata dalmaritomarocchino, era preoccupata per la deriva estremista del figlio.
L’ISIS HA LANCIATOUNA FATWA CONTRO I GATTI, RITENUTI CONTRARI ALL’IDEOLOGIA DEI COMBATTENTI