GIORGIO DELL’ARTI
PER I DUE ISTITUTI A RISCHIO C’È STATO L’INTERVENTO DELGOVERNOEDI BANCAINTESA. ORANELMIRINO...
Sento dire che il governo ha salvato altre due banche in crisi, cioè Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza. Ma con i soldi nostri? Sì, con i soldi dei contribuenti, cioè con i soldi nostri. Il ministro Padoan tirerà fuori circa 6 miliardi, e si dice sicuro del fatto che con una gestione oculata delle due banche adesso in crisi li recupererà. La parte sana dei due istituti sarà ceduta a Banca Intesa, quella malata sarà raggruppata in un nuovo soggetto che verrà affidato ai commissari nominati dalla Banca d’Italia.
Quanto paga Intesa per portarsi a casa la parte sana?
Un euro.
Un euro?
Visti i conti, sono scappati tutti. Intesa s’è dichiarata disponibile a farsi carico del problema (un buco di una ventina di miliardi), però senza nessun peggioramento del suo bilancio e senza intaccare neanche di un centesimo il dividendo da pagare agli azionisti. In caso contrario, niente. Questa posizione è stata votata all’unanimità dal Consiglio d’amministrazione. Banca Intesa manderà anche via tra i4 e i 6 mila dipendenti, dato che in Veneto ha quasi lo stesso numero di sportelli delle due banche in crisi, e ci saranno, come
al solito, sovrapposizioni.
Perché questa parte sana che Banca Intesa si compra per un euro non se l’è presa invece lo Stato?
Lo proibisce l’Europa, che non vuole aiuti di Stato quando si tratta di salvare le banche e su questo, in genere, non sente ragioni. Stavolta la Ue è stata addirittura più morbida, perché ha permesso al governo di aiutare le due venete con questi 6 miliardi. Però ha imposto un intervento dei privati per almeno 1,25 miliardi. E questi 1,25 miliardi li metterà, nel capitale delle due venete dissanguate (e che saranno fuse), appunto Intesa.
Perché l’Europa - implacabile con Montepaschi e con le quattro banche dell’anno scorso - stavolta ha fatto in un altro modo?
Perché a suo giudizio stavolta esisteva un «rischio sistemico». Se le due banche
venete fossero state liquidate, i correntisti avrebbero perso tutta la parte eccedente i 100 mila euro dei loro depositi e sarebbe stati rimborsati, invece, del resto. Questo «resto» vale 11 miliardi. Per far fronte a questo tipo di operazioni le stesse banche hanno costituito un Fondo interbancario di garanzia, mettendo ciascuna un tanto pro-quota. Dopo aver pagato gli 11 miliardi ai correntisti veneti, però, il Fondo, che deve essere sempre pronto a soccorrere chi va soccorso, si sarebbe trovato con troppi pochi soldi e avrebbe chiesto alle banche - legittimamente - di rimpinguare la sua cassa. Questo avrebbemesso in crisi parecchi altri istituti, che si sarebbero trovati costretti a ricapitalizzare se stessi o ad attivare procedure simili a quelle adottate dalle due venete. Una spirale tremenda, cioè un terremoto di sistema, insomma, e il conto da pagare sarebbe risultato, alla fine, salatissimo. Banca Intesa, per esempio, avrebbe dovuto tirar fuori 2 miliardi e mezzo.
Ma i responsabili dei buchi delle banche venete se ne stanno tranquilli e sereni nelle loro ville?
La magistratura indaga. L’ex ad di Veneto Banca Vincenzo Consoli ha appena detto in un’intervista di aver fatto errori ma di non aver commesso reati (ma proprio di recente è stato indagato per nuove vicende). Il responsabile principale del crack della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, ha già passato i suoi beni ai figli e risulta al momento nullatenente.
Prossima banca nei guai?
Il sistema bancario italiano ha «crediti deteriorati» (che cioè è molto difficile recuperare) per 300 miliardi. Il prossimo problema potrebbe essere la Cassa di Risparmio di Genova, o Carige.