LUCA GOLDONI
Ierimattina ho rinunciato alla Panda, all’autobus, al taxi emi sono ricordato della mia vecchia Legnano da passeggio, ibernata in cantina. L’ho spolverata, gonfiata e sono partito. Scampanellavo coscienziosamente, “lampeggiavo” disciplinatamente col braccio teso a destra o sinistra, pigiavo con ansia sui pedali ai semafori verdi per togliermi dai piedi e dare spazio alle orde smarmittanti
alle mie spalle. Non ho tardato amettere a fuoco il disagio chemi dominava: mi sentivo inerme, nudo, alla mercè. Interminabili pareti di autobus quasimi strofinavano la spalla sinistra, con il sottinteso “fatti più in là fessacchiotto”. Auto in sosta che stavo superando mi spalancavano sportelli nei denti. Mi sentivo un corpo estraneo trapiantato in un organismo che reagiva con la classica crisi di rigetto: gli automobilisti s’incuneavano furenti per i sensi obbligati, i pedoni li bloccavano dardeggiando sguardi di fuoco, i ciclomotoristi saettavano con proterva incoscienza tra auto e pedoni. Gli unici paria senza clacson, senza paraurti, senza air bag eravamo noi tapini che arrancavamo con la coda fra le ruote. Mi sono arreso quasi subito, son tornato a casa con la bici a mano. Mi sono buttato sul letto, ho lasciato placare le extrasistole, ho operato lunghe espirazioni di colore azzurrognolo per depurarmi delle tossine che alcuni autobusmi avevano sparato in bocca ed ora son qui a esprimere lamia protesta di cittadino che voleva non consumare energia, non inquinare, non tamponare, non emettere decibel. Perché solo nell’Europa del nord esistono aree pedalabili, interi quartieri riservati al
fruscio delle moltipliche? Perché qui da noi il ciclista è rispettato solo se ha una maglia colorata, i semiguanti, il casco a siluro, la testa ciondoloni sulmanubrio e il culone alto sul sellino? Allora interviene la Polizia stradale, blocca tutto, largo al trofeo strapaesano. Ma per chi pedala in borghese, una prece.