Oggi

NONCHIAMAT­ELI PIROMANI E KAMIKAZE

- IERI & OGGI di Luca Goldoni

Perché prima di aprir bocca non ci intendiamo sul significat­o delle parole? «Piromane» è un maniaco del fuoco (Erostrato da Sefeso incendiò un tempio per passare alla storia, e ci riuscì). Chi sta incendiand­o mezz’Italia non è un maniaco. È un criminale che se ne frega della storia e, per loschi interessi, distrugge vite umane e trasforma un bosco in discarica controllat­a dalla ‘ndrangheta. E veniamo alla parola scandalo che offende tutti coloro - e sono sempremeno - che ancora esercitano il diritto di indignarsi. Quando accade un attentato in qualche angolo di mondo si parla di «commando», «lupi solitari», e quasi sempre di «kamikaze». Tutti credono di sapere come nasce questo vocabolo, legato al gesto disperato dei piloti da caccia giapponesi che si lanciavano su una portaerei americana sacrifican­do la vita per

l’imperatore. Quasi tutti sanno che il vocabolo è formato da due parole: Kami che è una divinità dello scintoismo e Kaze che significa vento. Non tutti sanno che la romantica definizion­e di «vento divino» fu assegnata la prima volta non a un essere umano ma a una forza della natura, e precisamen­te a quel tifone che nel 1128 travolse la flotta mongola e salvò il Giappone dall’invasione. Nel passato e nel presente il concetto di kamikaze appartiene comunque all’etica samurai, ovvero alla volontà di immolarsi in difesa dei valori più nobili. Perché stoltament­e chiamiamo kamikaze chi sceglie il suicidio non per distrugger­e un obbiettivo militare nemico, ma per disintegra­re uno scuolabus? O per fare a pezzi la folla di un mercato? O per aggiungere altro dolore e altra morte alle corsie di un ospedale? O per inondare di sangue un tempio gremito di fedeli? Perché nobilitiam­o con la parola kamikaze chi sogna di salire in cielo e guadagnare un talamo guarnito di vergini, al prezzo di una carneficin­a di innocenti?

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