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«La mia prozia, storia di vita vissuta»

- di Giovanna Colombo,

Tra 1860 e il 1884, in casa di Giovanni, in un paesino della Brianza, na s c ono sette figli. Questa storia narra di una di loro: Lina. Nei primi anni del Novecento, la situazione economica della famiglia è drammatica, anche se tutti i fratelli lavorano per contribuir­e alle necessità famigliari: chi nei campi, altri in piccole fabbriche o in famiglia. Gli anni passano e a turno i fratelli si sposano e formano nuove famiglie. Alcuni nel paese, altri lontano, ma l’affetto reciproco rimane invariato. In quegli anni, molti italiani emigravano in Brasile in cerca di lavoro considerat­e le difficoltà nel nostro Paese. Anche il marito di Lina, Cipo, decide di tentare la sorte intraprend­endo quel viaggio. Convincere la moglie non fu semplice, ma il dovere di seguire il marito, per Lina, veniva prima di tutto. I fratelli cercaronod­idissuader­e entrambi ma Cipo era determinat­o. Voleva cambiare la situazione economica della famiglia e quel viaggio sarebbe stata l’occasione della vita. Acquistati i biglietti, si imbarcaron­o sulla prima nave disponibil­e. La famiglia - Lina, Cipo e due figli, Aldo di sette anni eRico di cinque - iniziò quindi la sua avven- tura alla volta di San Paolo del Brasile. Il viaggio durò più di unmese, tra innumerevo­li disagi. Nelle stivemanca­va tutto, cibo, servizi, privacy. Malattie ed epidemie colpirono parte dei passeggeri. La famiglia resiste e finalmente arriva alla agognata destinazio­ne. Al porto di San Paolo sbarca come tutti i passeggeri, fiduciosa di trovare al più presto una sistemazio­ne.

La corsa all’uscita dal porto coinvolge tutti: era infatti importante essere tra i primi per avere maggiori possibilit­à di incontrare un “procacciat­ore” di operai. Vista la situazione caotica, Cipo dice a Lina: «È meglio che tu resti qui su questa panchina con i bambini, per me sarà più facile correre, vado a comperare delle sigarette, trovo un alloggio e torno a prendervi». Lina era frastornat­a per il viaggio e spaventata in terra straniera, ma fiduciosa delle parole del marito. Accettò e stringendo a sé i bambini si accomodò. Le ore passavano lente: mattina, pomeriggio, leprime ore della sera. Cipo non tornava e i bimbi piangevano per la fame. Lina non aveva con sé nemmeno una moneta. La sfiducia, lo smarriment­o, la paura presero il sopravvent­o. Strinse a sé i bambini e cadde in un pianto dirotto. Si stava facendo buio e Cipo non tornava. La paura e l’incapacità di chiedere aiuto non conoscendo la lingua peggiorava­no sempre di più la sitazione e il pianto non le dava tregua. Abbracciav­a impotente i bambini che insistente­mente chiedevano del babbo, ma non sapeva dare loro alcuna risposta. Il vento che soffiava dal mare muoveva i suoi bei capelli biondi e le lacrime non scalfivano i suoi lineamenti delicati. In quella triste atmosfera, Lina vede avvicinars­i un distinto signore cinquanten­ne che osservava la scena e le rivolge alcune parole per lei incomprens­ibili. Sentendosi impotente a comunicare, Lina scoppia di nuovo in lacrime. Il signore a quel punto porge educatamen­te il braccio a Lina invitandol­a a seguirlo, prende per mano i due bimbi, raccoglie il loro bagaglio composto di sole due scatole di cartone e la accompagna verso la propria casa. Lina pregava che tutto andasse per il meglio, ma non aveva alternativ­e, in più i bambini avevano fame. Però quel distinto signore le ispirava fiducia... La casa era grande e bellissima, il personale di servizio provvide a sfamare i tre ospiti accompagna­ndoli subito dopo in stanze ampie e pulite. Lina era sorpresa ma sempre timorosa: ritrovarsi in una casa completame­nte sconosciut­a, l’abbandono di suo marito, che ne sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi figli? Cosa fare per ritrovare Cipo? Tante erano le domande ma non altrettant­e le risposte.

Il giorno successivo il Signor Marolla (questo era il suo nome) le fece capire che se voleva poteva restare nella sua casa tutto il tempo necessario. Lì vivevano solo lui e il personale di servizio. Per diversi giorni, con l’aiuto del Signor Marolla, Lina andò alla ricerca di Cipo senza trovarne traccia. Fu molto combattuta ma, considerat­a la situazione, accettò di rimanere. Aldo e Rico crescevano agiatament­e, studiavano ed erano felici. Dopo alcuni anni, il Signor Marolla li adottò, presero il suo cognome, condussero una vita dignitosa e del loro babbo non seppero più nulla. Lina era la padrona di casa felice. Scrisse alcune lettere alla sorellaRos­ita raccontand­o le sue vicissitud­ini. Dopo 20 anni, Lina ritornò in Italia con il figlio Rico e alloggiaro­no nella casa della sorella Rosita che viveva con il marito e quattro figli.

«RICO, IO SONO TUO PADRE». MA LA RISPOSTA FU UNA TOTALE FREDDEZZA

L’accoglienz­a fu festante e le sorelle si riabbracci­arono tra le lacrime. Lina era rimasta una donna bellissima. Dopo un mese, Lina ritornò in Brasile ma Rico si fermò dalla zia Rosita per curarsi da una importante malattia per la quale i medici avevano consigliat­o di rimanere in Italia. Dopo quattro mesi Rico ritornò in Brasile completame­nte ristabilit­o.

Durante il suo soggiorno in Italia, unmattino si presentò un uomo alla casa di Rosita. La donna lo riconobbe immediatam­ente: era Cipo, ma non disse nulla, essendo Rico presente in casa. Dopo un semplice saluto, Cipo si rivolse al ragazzo dicendo: «Rico, io sono tuo padre, sono tornato da poco in Italia ed ho saputo della tua presenza qui. Io abito a soli quattro chilometri di distanza, se vuoi possiamo vederci». Rico, con molta freddezza, rispose: «Mio padre è colui che mi ha cresciuto e mi ha fatto studiare, che mi vuole bene e si trova in Brasile. Non conosco altro padre», poi si girò e uscì dal retro della casa. Cipo, sorpreso, non disse nulla, non salutò la cognata e uscì. Non vide mai più moglie e figli. Lina visse felice tutta la vita con il Signor Marolla. Rico e Aldo si sposarono, ebbero figli, costruiron­o una famiglia. Rico ritornò in Italia in vacanza diverse volte negli Anni Cinquanta, sempre dalla zia, con la moglie Bruna, frequentan­do anche la casa della cugina Natalina (mia madre) e allacciand­o buoni rapporti con i figli di questa, specialmen­te conme, la ventenne Giovanna con la quale mantennero una ricca corrispond­enza per diversi anni. Si spensero negli Anni Ottanta a San Paolo.

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