«Il suo antico perduto splendore»
UN AVILLA DISTRUTTA, IL VIAGGIO EMOTIVO DI UNA MADRE E DI UNA FIGLIA TRA QUEL CHE NE RIMANE, TRA VECCHI PERGOLATI, DISTESE DI MUGHETTO E FONTANE
Cosa spinse la donna a passare per quella strada? La evitava a c cu r a - tamente, quando portava sua madre con sé. Era convinta che ci lì fossero troppi ricordi per la vecchia signora. Ricordi che la facevano tornare a certi anni remoti e a quel luogo: un giardino che, ahimè, non c’era più. La villa cui apparteneva era stata distrutta nel cuore di un aprile di tanto tempo prima, negli ultimi giorni dell’ultimo anno di guerra. Le ostilità avevano costretto da tempo la famiglia a fuggire e ad abbandonarlo alle forze della natura. Così era scomparso, nel pieno di una bellezza non più così perfetta ma, forse proprio per questo, più affascinante. Quel giorno, invece, non riuscì nemmeno a evitare di rallentare, quando con l’auto arrivò all’altezza della casa diroccata.
Un cartello d’inizio lavori emergeva sfacciatamente dall’intrico verdastro. «Vuoi fermarti a dare un’occhiata?», si sentì di chiedere a sua madre. La vecchia signora annuì. Scese faticosamente dall’auto poi, appoggiandosi al braccio della figlia, arrivò fino al varco, dove una volta si apriva il cancello. Era rimasto miracolosamente in piedi un pilastro su cui si potevano ancora scorgere i segni dei vecchi cardini. Vi avevano appeso un’insegna, ora arrugginita e corrosa, che proibiva l’accesso. Come se ci potesse essere qualcuno che volesse addentrarsi in quel malsano groviglio di vegetazione cui la primavera – era aprile, come allora – dava, comunque, un tocco di leggiadria.
Il verde tenero dei nuovi polloni toglieva ai lunghi tentacoli spinosi dei rovi parte del loro aspetto maligno. Una matassa inestricabile di sterpi ricopriva quello che una volta era il prato. Un brandello di muro, basso e sgretolato, sembrava ancora voler svolgere ancora la sua funzione di guardiano della proprietà. La figlia ricordò che in passato la casa abbandonata la impauriva e la attraeva contemporaneamente. Anche se di quella casa, di quel giardino lei sapeva tutto. Si rassegnò ad ascoltare ancora una volta. «Questa è la glicine, comincia già a fiorire. Vedi quella finestra al primo piano sull’angolo verso il fiume? È la mia camera. La nonna ha voluto i mughetti lì sotto: tra poco, a maggio, ci sarà una distesa di fiori bianchi. Quando la sera lascio la finestra aperta, tutta la stanza si riempie di profumo. Si mescola a quello che arriva dall’arco di rose, vedi quello che dall’ingresso va verso la vasca? Io le avrei preferite tutte bianche, intonate al marmo dei gradini, ma alla nonna piacciono i colori. Rosa salmone, arancione puro, rosso intenso, giallo vivo…». La donna percepì che la madre parlava al presente ma sul momento non se ne preoccupò.
Osservava le occhiaie nere della facciata che si ergeva sbilenca a nascondere il vuoto interno, la struttura polverosa della piccola scalinata. Le lastre candide che la ricoprivano, da tempo erano finite ad abbellire qualche altra scala, qualche altro ingresso. «Bella la vasca, vero? Guarda lo zampillo che esce dalla bocca del pesce in sasso. Senti? Con le sue note leggere risponde ai suoni rombanti del fiume». Ma la vasca non c’era più: spuntava solo qualche pietra grigia del bordo. La donna pensò che forse si doveva preoccupare: sua madre in quel pomeriggio primaverile sembrava vedere un luogo scomparso sessanta, no, settant’anni prima. «Quello è un nespolo giapponese. Guarda quei rami più bassi, vedi? Sembrano i braccioli di una poltrona. Io mi siedo lì a studiare». Quali erano i rampicanti - convolvolo, edera, forse - che avviluppavano la pianta fino alla chioma? La voce senile continuava. «Le seggioline di ferro sotto al pergolato di uva dolce sono così scomode!». Potevano essere i tralci della vite quelli che si protendevano verso il muretto sul fiume? «Beh, andiamo. Sono stanca». La vecchia signora si avviò verso l’auto. Borbottava tra sé: «Me lo immagino che orribili casette a schiera tireranno su qui!». La donna sospirò di sollievo, suamadre le sembrava tornata lucida, e critica, come sempre. Si voltò a gettare ancora un’occhiata verso il giardino. E in quel momento, per la prima volta, lo vide in tutto il suo antico perduto splendore.
LA VILLA ERA STATA DISTRUTTA NEL CUORE DI UN APRILE DI TANTO TEMPO PRIMA, NEGLI ULTIMI GIORNI DELL’ULTIMO ANNO DI GUERRA