Fermare gli sbarchi? Lui c’è riuscito
MARCO NON È IL SUO VERO NOME MA QUELLO CHE SI È SCELTO PER RICORDARE IL GEMELLO SCOMPARSO. SOGNAVA DI FARE IL PILOTA. RIMPIANGE I CAPELLI BIONDI ERICCI. E, DAATEO, AMA LEGGERE LA BIBBIA... CHI È L’ UOMO DA PRIMA PAGINA
C’è chi lo vede a capo di un governo tecnico se le elezioni politiche del 2018 non dovessero proclamare vincitori certi, e c’è chi si spinge a immaginarlo al Quirinale dopo il settennato di Sergio Mattarella. Perfetto in entrambi i casi, per quella sua formazione di sinistra-sinistra che va a braccetto con decisioni spesso giudicate di destra. Ma, al momento, il ministro dell’Interno Marco M inni ti è per tutti l’ uomo che ha fermato gli sbarchi dimigranti dalla Libia e ha costretto l’Europa a occuparsene. Merito indiscutibile per alcuni, cinica operazione per altri. Un ministro dell’Interno atipico, che si comporta anche un po’ da premier e da ministro degli Esteri. «Si comporta come se l’Europa esistesse anche politicamente», ridacchia qualcuno.
IL SUO SOGNO NEGATO
Una cosa è chiara: di lui, che pure è in politica da 40 anni e nel “gioco grande” da 30, si sa pochissimo. Non una foto con la moglie Mariangela Sera (musicista) o con le figlie Serena e Bianca (25 e 23 anni). Un po’ è carattere, un po’ è prudenza: dal 1997 Minniti è sotto scorta, da quando la ‘ndrangheta gli fece arrivare proiettili e minacce. All’epoca viveva nella sua città, Reggio Calabria, ed era un funzionario del Pds (veniva dal Pc e prima ancora dai Giovani Comunisti). La ‘ndrangheta non gradiva l’approccio anti-clientele di Minniti, che ancora oggi a Reggio è ricordato come quello che non raccomandò neanche il figlio
del suomentore. SeRenzi è Matteo, di Minniti si cita sempre solo il cognome. In fondo è giusto così, perché Marco non è il suo vero nome (si chiama Domenico Luca), ma quello che giovanissimo scelse in ricordo del suo gemello scomparso prematuramente. Sempre a differenza di Renzi, non ha né Twitter né Facebook e parla poco, lo stretto indispensabile: «La parola serve a spiegare quello che hai fatto, non quello che vuoi fare» (esiste frase meno renziana?). Rigoroso, non scende a compromessi. Sarà merito della famiglia di ufficiali (quasi tutti dell’Aeronautica) da cui viene: lo erano il padre e i suoi otto zii. Dicono sia malinconico, forse per colpa del sogno, spezzato, di diventare pilota di aerei, cui dovette rinunciare a 17 anni a causa dei timori di sua madre Angela. Per protesta, entrò nella Fgci e si laureò in Filosofia, ma non ha mai smesso di studiare strategie e storie militari né di volare (è stato il primo italiano a volare su un Eurofighter e fa parte del Club Mach1, quello di chi ha volato sfondando il muro del suono). In ogni ufficio in cui la politica l’ha portato (è alla quarta legislatura, è stato sottosegretario prima di diventare ministro), con lui sono arrivate
le collezioni di jet in miniatura e un computer su cui sono istallati simulatori di volo. «Sono davvero felice solo quando volo», ha detto. Pare sia un battutista, che rida volentieri e sonoramente, ma che neanche quando ride si rilassi del tutto. Forse una malattia professionale dovuta ai 20 anni che ha trascorso lavorando nell’intelligence. Si trova piacente ma non ha mai superato il trauma di aver perso i capelli («Erano biondi e ricci», ha detto) che era neanche diciottenne. A Reggio dicono che fu colpa dello spavento di un brutto incidente. Ma c’è stato un tempo in cui con i suoi amici Minniti si diceva convinto che la causa fosse un’operazione al menisco. Un nesso bislacco che lui motivava citando studi americani sulle correlazioni tra calvizie e chirurgia ortopedica. Chissà se è vero o se si tratta di un aneddoto inventato dai suoi amici solo per non ammettere che neanche loro, in fondo, sanno molto di lui.
CHIACCHIERE COI VERSACE
Il faccendiere Luigi Bisignani, che se ne intende, l’ha definito «il piccolo Cossiga», ma Cossiga (che pure con Minniti nel 2009 fondò l’Icsa - Intelligence Culture and Strategic Analysis) lo chiamava «il ragazzotto elegante di Botteghe Oscure». In effetti all’eleganza Minniti tiene molto. In Calabria raccontano di quando si trovava a discutere di stoffe e tagli delle giacche coi conterranei fratelli Versace; in gioventù ha avuto il vezzo degli stivaletti bordeaux e chi lo frequenta parla di attenzione maniacale allo stile (colleziona orologi, mai troppo costosi). Nonostante viva a Roma da quando, nel 1996, Massimo D’Alema lo volle coordinatore del partito, Minniti è sempre rimasto calabrese (riuscendo però a eliminarne la cadenza nel parlare) e a chi ancora oggi gli chiede dove si immagini in futuro risponde: «Al mare, a Scilla», dove ama fare lunghi giri in gommone (un 12 cavalli) e tanta pesca subacquea, sport che ama, oltre al calcio e al basket. Con D’Alema ha lavorato per quattro anni e per molti è stato quello il suo vero servizio militare. Non si sono lasciati bene, maMinniti ammette di dovergli molto. Forse anche il suo motto: «Pazienza e abilità sono due facce della stessa medaglia».
TIFA INTER E REGGINA
Sarà che è dei Gemelli (è nato il 6 giugno) e che per chi ci crede l’appartenenza a questo segno comporta una certa doppiezza, ma quello di Minniti sembra un riuscito mix tra istinto e freddezza, pancia e testa. Lui, ateo, per rilassarsi legge la Bibbia. Calabrese, tifa per la Reggina ma da sempre ha scelto di tifare anche Inter, «per avere un riferimento da scudetto». Il cuore però è cuore. E così quando nel 1999Minniti era in Libia per vedere Gheddafi chiese al cerimoniale di spostare l’appuntamento col colonnello per potersi godere l’esordio in serie A dellaReggina. Nel 2001, mentre guardava Inter-Chievo fu interrotto da tre ladri che con un piede di porco cercarono di entrare nella sua casa romana alla Camilluccia. Lui gli si parò di fronte, al di qua della vetrata, e gli mostrò il telefono con cui chiamava il 113, mentre uno dei suoi quattro cani, Bruno, azzannava un ladro alle caviglie.