COME UNA VERZA
ELIO NON AMAI CANI. COSÌ, QUANDO PRENDE UN LABRADOR E INIZIA A USCIRE CON LUI, SUAMOGLIE HA LA PROVA DELL’ESISTENZA DI UN’AMANTE. FINO A CHE UNA SERA...
Quando Elio comprò il Labrador, capii che mi stava t radendo. Elio non aveva mai avuto cani e conosceva a memoria i 120 motivi per non averne. Io, che non condividevo neanche uno dei 120 motivi, restai basita. Presi la testa del Labrador tra le mani e poggiando la mia fronte al suo cranio peloso esclamai: «Benvenuto!». La sera riempii di croccantini al pollo una delle sbiadite scodelle di plastica da picnic che da decenni Elio credeva buttate. Alla vista della scodella, ricomparsa in veste di ciotola, Elio restò più sorpreso di quanto non lo fossi stata io nel vedere il Labrador. Lo stupiva il fatto di non essersi mai accorto che nel ripostiglio del soppalco della cucina giacevano ancora le posate in plexiglass, il cestone in vimini e le piccole sedie pieghevoli.
Di giorno, Elio teneva sempre il guinzaglio a portata di mano. «Andiamo a fare una passeggiata», era la frase topica, quella che dava il via alle manovre di fuori- uscita. La tattica per avvicinarsi alla porta di casa senza offendermi e senza insospettirmi era varia, ma il risultato scontato: io che restavo e loro che uscivano. Solo l’ardore per una donna giovane e passionale poteva aver spinto Elio a cercare un pretesto tanto “peloso” per poterla incontrare. In trentacinque anni di matrimonio il suo uscire di casa aveva coinciso con il fragore dell’uscio che sbatteva. Nessuna spiegazione. La professione di medico specialista e di professore universitario giustificava tutto: orari impossibili e weekend all’estero. Da mesi, lo status di pensionato lo costringeva a un sommario rendiconto della giornata. Probabilmente anche Lei era sposata, perché Elio non usciva mai con il Labrador la sera dopo cena, nemmeno per portarlo a fare pipì sui platani sotto casa. Come la verza più buona, quella che cuoce lenta, a fuoco basso, nella sua acqua, dentro la pentola con il coperchio, senza bisogno di rimestare, di controllare o di aggiungere alcunché, tanto che quasi te la scor- di, decisi di lasciare che le cose andassero a cottura da sole. Avevo notato che il Labrador non aveva mai le zampe sporche al ritorno dal parco. Ero certa che Lui lo pulisse a dovere prima di farlo entrare in casa di Lei. Nella mia mente vedevo chiaramente il Labrador in paziente attesa in un soggiorno da catalogo Ikea.
Confesso che tutta quella messinscena mi divertiva. In fondo, ero io l’oggetto di tante premurose scuse, di tanti laboriosi sotterfugi. Meglio essere tradita con amore, che rispettata con indifferenza. Elio, grazie all’amante, al cane o a tutti e due, aveva cambiato umore: era meno cupo e più disponibile al dialogo. Io beneficiavo di quella nuova atmosfera familiare. Nel nostro letto, del resto, non succedeva più nulla da molto prima che il Labrador arrivasse. L’amante, dunque, almeno per ora, non mi aveva privata di nulla, anzi. Con il passare dei mesi, Elio si era affezionato sempre di più a quel cane, testimone silente del suo amore clandestino. La mattina, era il Labrador a svegliarci e la notte era
DAMESI, LOSTATUSDI PENSIONATO LO COSTRINGEVA A UN SOMMARIO RENDICONTO DELLA GIORNATA
lui ad addormentarsi per primo ai piedi del nostro letto. Elio ed io lo accarezzavamo spesso e non di rado capitava che le nostre mani, intente a coccolare quel cranio peloso, si sfiorassero. Ero io a comprare i croccantini, ero io a portare il Labrador dal veterinario, ero io a parlare del cane a tavola con Elio. Il nostro matrimonio era andato in pezzi anni fa, quasi da solo.
Un po’ come certi vasi di cristallo che dalla credenza finiscono per terra. Dapprima si sospetta di tutto, ma poi non si riesce a incolpare niente e nessuno. I pezzi erano ancora tutti lì. Né io, né Elio, ci eravamomai presi la briga di raccoglierli. Col tem- po, anzi, avevamo imparato a non calpestare quei cocci appuntiti, a passarci accanto, stando ben attenti a non ferirci. Il Labrador, invece, zampettando incurante sopra quello che restava del nostro matrimonio, aveva sparpagliato i cocci e reso impossibile rispettare le vecchie geometrie e i consolidati percorsi. Tuttavia, non mi facevo illusioni. Quando Elio pronuncerà la fatidica frase: «Ho un’altra, me ne vado», io gelida risponderò: «Vai pure Elio, ma il Labrador resta». Elio teneva, come al solito, il guinzaglio nella mano destra e avvicinandosi alla porta di casa disse qualcosa a cui io, senza aver capito, risposi: «Va bene». Da mesi, infatti, mi ero imposta di non prestare la minima attenzione al suo imbarazzo nell’uscire di casa da solo con il cane. Ero del tutto assuefatta alle banali scuse che precedevano quel gesto.
Ma Elio rimase fermo sulla por ta quasi ad aspettare qualcuno. «Cosa c’è Elio?», domandai sbriga- tiva. Con un tono di voce pacato, guardandomi negli occhi, come faceva un tempo ( il migliore della nostra vita) domandò: «Vuoi venire a fare una passeggiata al parco?» e poi, quasi a convincermi, « Ci sono i pruni fioriti e quell’aria che piace a te». La verza più saporita è quella che cuoce sotto al coperchio, nella sua acqua, tanto lentamente che quasi la dimentichi, ma che bisogna togliere immediatamente dal fuoco quando è cotta, altrimenti diventa poltiglia. Senza perdere un secondo, infilai il mio braccio sotto al braccio di Elio e con il Labrador che ci trotterellava davanti, ci incamminammo veloci verso il parco.
DAPPRIMA SI SOSPETTA DI TUTTO, MA POI NON SI RIESCE A INCOLPARE NIENTE E NESSUNO