VOGLIA DI LEGGEREZZA
PROTESTECONTROLAPUBBLICITÀDELBUONDÌ. MAPERCHÉ PRENDIAMOTUTTOCOSÌ SUL SERIO?
Vabbè, ve lo devo dire: io mi sono fatto una bella risata. Ma altri non l’hanno presa bene, si sono indignati, si sono arrabbiati. Sto parlando dell’ormai famoso spot pubblicitario del Buondì Motta, quello dell’asteroide che «uccide la mamma».
Per i pochi che non l’avessero visto, lo riassumo. Ci sono madre e figlia, dolci e sorridenti, nel giardino di una bella casa di campagna. La bimba chiede una colazione «leggera ma decisamente invitante, che possa coniugare la mia voglia di leggerezza e golosità». La mamma risponde, tenera: «Non esiste una colazione così, cara. Possa un asteroide colpirmi, se esiste». E… Boom! L’asteroide arriva e la polverizza. Segue la visione della merendina, colpita a sua volta da mini-asteroidi, con la scritta: «Colazione golosa e leggera? Certo che sì, è Buondì!». Compare anche un’avvertenza, in piccolo: «Nessuna mamma è stata maltrattata durante le riprese».
Insomma, è una parodia delle pubblicità stile Mulino Bianco, quelle con la famigliola perfetta e felice. Nessuno può credere che la bambina parli come un direttore marketing o, meno ancora, che piombi dal cielo unmeteorite come un fantastiliardo di anni fa capitò, pare, ai dinosauri. Si tratta di una provocazione, una roba da ridere o sorridere, tutta giocata sul registro dell’irrealtà (compresa la rassicurazione finale sullemamme nonmaltrattate). Eppure…
Eppure si sono scatenati, manco a dirlo, i social. Su Facebook& C. sonomontate proteste contro la «violenza» finale, poi paragoni con i kamikaze, mamme (vere) disgustate, minori terrorizzati. Si è mossa perfino un’associazione di telespettatori preannunciando esposti alle autorità. Nel frattempo è andato in onda un secondo spot, in cui viene incenerito da un asteroide pure il papà. Ora toccherà al postino e non si sa se ce n’è un quarto in agguato, magari con il giardiniere sbriciolato o i nonni stritolati in una riedizione casereccia di Armageddon.
Dovrebbe essere ovvio che è tutta una finzione, che i più piccoli vedono “cartoni” in cui succede ben di peggio, che se qualcuno di loro ci casca basta spiegarglielo. Ma nel famigerato mondo dei social nulla è ovvio, tutto viene preso terribilmente sul serio, l’asticella dello sdegno è bassissima e la velocità di reazione altissima. E poco importa che così si faccia un enorme favore proprio all’azienda (Nestlè) che produce la merendina suddetta e a chi ha inventato lo spot, che così centra in pieno l’obiettivo di far parlare del prodotto. Un prodotto, sia detto tra parentesi, che da anni sembrava scomparso dai riflettori: iome lo ricordo quando facevo le elementari, insieme con i fruttini Zuegg, il Ciocorì, i flipper Perugina e le terribili fialette di acqua zuccherata e colorata che compravamo per 10 lire, prima di entrare in classe, al bar detto L’Agostina.
Come sarebbe bello se recuperassimo la capacità di «riderci sopra». Invece, un paio di settimane fa, molti avevano preso sul serio perfino l’astuta provocazione del Codacons, che aveva annunciato una denuncia contro il fumatore Corto Maltese per «istigazione al tabagismo». Nulla di vero, naturalmente: solo una trovata per lanciare una, comunque sacrosanta, crociata anti-sigarette. Il fatto è che le sensibilità sono ormai estreme, il politicamente corretto la fa da padrone e i vari social media consentono di moltiplicare le lamentele in misura esponenziale. Non mi stupirei se, prima o poi, qualcuno protestasse perché Tex Willer mena le mani, spara ai cattivi e i suoi amici indiani non li chiama «nativi americani». Anche lui si è già dato una regolata, però: anni fa le persone di colore le chiamava sarcasticamente «palle di neve», ora non più.
Ecco, diciamo che in un mondo in cui accadono realmente cose terrificanti, almeno nella nostra quotidianità di lettori, telespettatori e utenti social dovremmo dotarci di qualche attitudine in più: tolleranza, ironia, apertura mentale. In una parola, proprio come nello spot del Buondì, leggerezza. Di golosità non ce n’è bisogno, quella ce l’abbiamo di default.