EDITORIALE
SE POTESSIMO SCRIVERE A NOI STESSI DA GIOVANI, CHE CONSIGLI SAPREMMO DARCI?
Se tu potessi scrivere una lettera di consigli a te stesso ragazzino, che cosa gli diresti? Quali suggerimenti ti verrebbero in mente, quali avvertenze per gli errori da non fare, quali scogli da evitare e opportunità da non perdere? L’idea, bellissima, viene sviluppata regolarmente con i grandi campioni dello sport su un sito americano ( theplayerstribune.com), ed è stata raccontata magistralmente da Paolo Condò sull’ultimo numero di Sportweek, il magazine della Gazzetta dello Sport diretto daMatteo Dore. Così, mi sono chiesto: che cosa scriverei al mio alter ego di 16 anni?
Certo, la tentazione di “usare” in negativo questa specie di macchina del tempo è forte. Usarla per esorcizzare rimorsi e rimpianti, per esempio. Per avvertire l’Umberto adolescente e non fargli ripetere gli sbagli inevitabilmente fatti. «Non metterti con quella tipa, ti farà soffrire». «Impara bene l’inglese, ma studia pure il greco, anche se non ci credi ti servirà nella vita e nella professione». «Non giocare quella partita di pallavolo, ti fracasserai una spalla». «Riscatta subito la laurea, dopo costerà troppo». «Cerca di essere più presente e più dolce con il tuo papà, ti lascerà presto».
Enon siamo dentroRitorno al futuro: l’Umberto sedicenne non avrà mai l’Almanacco sportivo di Marty McFly per scommettere, vincere e diventare ricco sfondato come il cattivissimo Biff. Non c’è il rischio dei paradossi temporali che hanno fatto la fortuna di tanti romanzi e tanti filmdi fantascienza. La lettera al se stesso “da giovane” in fondo è solo un gioco, una riflessione sul se stesso “da grande”, un modo per tirare dei bilanci e forse anche una guida per interagire con i figli, quelli che in questo momento hanno tutta la vita davanti.
Che cosa mi scriverei, dunque? Prima di tutto, mi scriverei di non avere paura, mai, di niente. Affrontare le sfide, in prima persona, a petto in fuori, senza tirarsi indietro o delegare ad altri, e però anche accettare le sconfitte. Arrabbiarsi e indignarsi, quando è il caso, e saper piangere, quando ce n’è bisogno. Non vergognarsi dei propri difetti. Fidarsi delle persone anche sapendo che qualcuna ti tradirà. Guardare sempre avanti e non trascinarsi sulle spalle il passato, che si chiama così, appunto, perché non c’è più. Sgombrare la mente dai pregiudizi e cercare, sempre!, di ragionare con la propria testa, a costo di sbagliare giudizio. Direi al me stesso teenager di essere generoso ma non ingenuo, sincero ma non sprovveduto, astuto ma non furbetto. E gli direi di imparare ad amare, perché chi non ama non vive realmente.
Un bel catalogo di buoni propositi, dite? Sarà. Ma molte cose si imparano con gli anni, le esperienze, le cadute e le risalite. E certo il me stesso di 16 anni, se avesse ricevuto una lettera dal me stesso di 59, credo che ne avrebbe fatto tesoro, certe cose non capitano tutti i giorni… Poi, è fin troppo ovvio, siamo quello che siamo perché quella lettera non l’abbiamo ricevuta. Come dice lo scrittore americano Robert Brault, «l’esperienza che homaturato a 21 anni sarebbe utile se avessi di nuovo 21 anni, ma ho 71 anni e sono un principiante e continuo a fare gli errori di uno che ha 71 anni». Il mitico ex tennista Jimmy Connors esprime lo stesso concetto in modo più brutale: «L’esperienza è una grande cosa. Il problema è che, quando l’esperienza ce l’hai, sei maledettamente troppo vecchio per farci qualcosa».
Eallora? Non potendo tornare davvero indietro nel tempo, scrivere a se stessi da giovani è soltanto un esercizio inutile e anche un po’ frivolo? Non so, a me l’idea piace, e ci lavorerò sopra. È vero, come sosteneva Goethe, che tutte le cose si potrebbero fare meglio se si potessero fare due volte, ma l’esperienza è una faccenda che si può trasmettere a chi non ce l’ha. E voi, che cosa scrivereste al vostro giovanissimo alter ego?