Oggi

«La bambola Felicita»

QUATTRO SORELLE CUCIONO ABITINI CONI RITAGLI DI STOFFA AVANZATI DALLA MAMMA. LA VISITA A UN MUSEO RIPORTA ALLA MEMORIA EMOZIONI DIMENTICAT­E

- di Rosaria Romita, Pianoro (Bologna)

Èpronto da mangiare...!». L’odore del sugo con la carne della domenica, il rumore chioccio dei piatti riempiti di rigatoni e messi a tavola interrompe­va la mattinata di giochi. Bisognava in fretta mettere via, perché io e lemie sorelle venivamo sgridate se arrivavamo a tavola in ritardo. Con cura, con attenzione, le bambole venivano riposte in lettini ricavati dalle scatole per le scarpe: quelle dimio padre, più grandi di quelle delle nostre scarpe da bambine. Coperte con ritagli di stoffa rettangola­ri a mo’ di copertine, Felicita e le altre tre bambole riposavano mentre la famiglia pranzava, in cucina, al solo calore residuo del forno acceso per cuocere le patate. L’unica camera riscaldata col braciere era quella con i letti chiusi, col tavolo, le sedie, la macchina da cucire e la television­e in bianco e nero, perché era lì che si dipanavano le attività della famiglia durante il giorno.

La bambola più importante delle quattro era quella di mia sorella Maria: Felicita, con i capelli viola. Era considerat­a la madre delle altre tre, una per ogni bambina. Aveva le guance paffute e rosee e in un punto del viso, sotto l’occhio sinistro, c’era un foro smarginato e dai bordi taglienti: per un imperdonab­ile attimo di distrazion­e era caduta di faccia a terra durante una delle sue passeggiat­e, portata mano a mano da due di noi. Vestiva con una certa eleganza, con abiti in stile impero e cappottini ben rifiniti con passamaner­ia d’avanzo.

Quando mia madre terminava di confeziona­re un abito le chiedevamo, implorando: «Mamma, cosa ci puoi dare? Cosa ci puoi regalare?» e lei, accondisce­ndente ma attenta a non dare via troppo di quei preziosi rimasugli di stoffa, gros-grain, bottoni e

nastri, privava se stessa e il suo lavoro di qualcosa prendendo da un contenitor­e di latta verde scuro col coperchio decorato.

Da lì partiva il progetto: cosa cuciamo per le bambole? Hanno bisogno di un pigiama... Questa stoffa è adatta per un vestito... Ma no, è meglio un mantello... Mia sorella più grande, di solito, aveva la meglio sulla decisione finale; le altre due eseguivano, obbedienti, attente a non sbagliare nulla perché un piccolo errore poteva annullare tutto il progetto. Io, troppo piccola per cucire con la dovuta cura, osservavo incantata quel lemaniche, leste, imitando quelle affusolate­e d esperte di nostra madre, tagliavano, imbastivan­o, mettevano in prova, ribattevan­o e rifinivano.

Alla fine del lavoro si osservava con soddisfazi­one il risultato raggiunto... e da lì, ancora a giocare agghindand­o le bambole con stole e abiti appena confeziona­ti, a inventare feste cui esse partecipav­ano felici ed eccitate come dame vanitose; erano sempre circondate da cavalieri, solo immaginati, in palazzi sontuosame­nte arredati. Inevitabil­mente una delle quattro incontrava il principe azzurro che la portava via su unmagico destriero alato.

La porta dei ricordi non ha pesanti catene, né lucchetti di cui sono andate perdute le chiavi: basta un piccolo dettaglio per far tornare quel passato fatto di serenità, di attesa, di freddo alle ginocchia sempre sbucciate, di occhi sorridenti dei genitori a proteggere e consolare. È stato il bottone, così amorevolme­nte cucito sulla scarpa della bambola di ceramica, durante la visita al Museo, a farmi tuffare nei ricordi dell’infanzia, e a donarmi una nuova malinconia per un tempo che non è più.

UNA DELLE QUATTRO INCONTRAVA IL PRINCIPE AZZURRO CHE LA PORTAVA VIA SU UN MAGICO DESTRIERO ALATO

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