PASTICCIO ALLA CATALANA
FRA POCO ANCHE DA NOI REFERENDUM PER L’AUTONOMIA. MA DAVVERO LE COSE SONO COSÌ DIVERSE?
Ho la fortuna di conoscere piuttosto bene Barcellona, una delle città più belle del mondo. Di recente ci sono tornato, per lavoro o per turismo, ma unmilione di anni fa avevo lì una fidanzatina, una novia, come dicono loro (anzi, una nùvia, se vogliamo essere precisi e pronunciarlo in catalano). Partivo il venerdì sera da Milano dopo il lavoro, mi sciroppavo mille chilometri e tornavo la domenica notte, giusto in tempo per presentarmi in redazione, fresco come una rosa (insomma, più o meno…). Frequentavo la sua famiglia, i suoi amici, e giravo la Catalogna in lungo e in largo. Tutti loro parlavano esclusivamente la lingua locale, e solo per una forma di cortesia nei miei confronti usavano lo spagnolo, o castigliano, che un po’ avevo imparato. Tutti ce l’avevano a morte con Madrid, e siccome la dittatura franchista era finita da poco (nel 1975) sentivano ancora sulla pelle le discriminazioni subitene i decenni precedenti, le umiliazioni, la negazione radicale della propria cultura e della propria identità, quando era severamente proibito anche solo parlare in catalano. La regione era (ed è) la più ricca e dinamica dell’intera penisola iberica. Gente tosta, i catalani: cena alle 10 o alle 11 di sera, in giro per locali tutta la notte, e al mattino puntuali in ufficio o in fabbrica. Efficienza “tedesca” ed esuberanza latina, mischiate a una esibita insofferenza verso la capitale centrali stael a monarchia che per quasi 40 anni aveva tollerato Francisco Franco.
Da allora le cose non sono cambiate. Anzi, come si è visto nella «domenica di sangue» del referendum (servizio a pag. 28), sono peggiorate. Ora i catalani vogliono semplicemente andarsene. L’autonomia non basta, esigo nodi diventare una Repubblica indipendente. I motivi? Quelli di facciata sono più che nobili: la lingua, la cultura, l’identità, la storia. Quelli veri sono molto più banali: i soldi. Detto in poche parole: la Catalogna ha il 16 per cento della popolazione spagnola, produce il 20 per cento della ricchezza nazionale, paga il 23per cento delle tasse e riceve in cambio solo il 10 per cento degli investimenti. Per loro, restare legati alla Spagna è più che altro un cattivo affare, perché i denari che affluiscono a Madrid tornano solo in
Gparte, e anzi vanno a vantaggio delle regioni più povere e, sempre secondo questa visione, immeritevoli. Insomma, «Madrid ladrona». Vi ricorda qualcosa? ià. Fra un paio di settimane anche la nostra Lombardia e il nostro Veneto saranno chiamati al referendum per ottenere una maggiore autonomia da Roma. Niente a che vedere con la consultazione inCatalogna, attenzione. I due governatori, RobertoMaroni e Luca Zaia, non fanno che ripeterlo: il referendumserve solo per andare nella Capitale a battere cassa, diciamo così, forti della volontà «espressa dal popolo». La secessione, «Padania libera!» e «la Lega ce l’ha duro»? Roba vecchia. Adesso il partito di via Bellerio è «nazionale», cerca voti perfino in Calabria e in Sicilia, e infatti il poveroMatteo Salvini è costretto a tenere in piedi in due o tre scarpe: alNord deve fare l’autonomista, al Centro il patriota e al Sud il meridionalista. Un’impresa da far girar la testa e, come minimo, da provocare serie crisi d’identità (per fortuna che c’è sempre Elisa Isoardi a consolarlo neimomenti di scoramento).
C’è però un dettaglio che accomuna i due referendum, quello drammatico di Barcellona e quello virtuale diMilano e Venezia. Perdonatemi se uso una parola un po’ in disuso: si chiama egoismo. Perché se un marziano sbarcasse a Barcellona e poi, che so, in Estremadura (che già dal nome… aiuto!) direbbe: «Ma voi catalani avete le città più ricche, le case più belle, le strade più pulite, le imprese più profittevoli, le auto ultimo modello, e poi i parchi, i ristoranti, il turismo, i cinema, i teatri… Non vi basta? Non vi basta mai? Ah, certo, la crisi vi ha colpito, siete un po’ meno ricchi di prima, ma laggiù stanno peggio, lo sapete?». E se il marziano esplorasse l’Italia non direbbe forse le stesse cose? Certo, è tutto molto più complesso di così. La crisi economica degli ultimi nove anni ha colpito duro proprio le zone più ricche dei duePaesi, ha impoverito la classe media e arricchito chi già viveva nel lusso, ha stravolto sogni e aspettative e creato nuove paure. Eppure, ame continua a sembrare che le rivendicazioni autonomiste abbiano il retrogusto acido dell’egoismo. Sbaglio io?