La risposta dura del premier Rajoy Rajoy,
DUELLO
Il capo dei secessionisti catalani è un giornalista 54enne con la zazzera da Beatle: Carles
Puigdemont, ex sindaco di Girona. Presidente della Catalogna da quasi due anni, ora dovrà decidere cosa fare dopo il referendum vinto col 90% dei voti, ma con soltanto il 40% dei votanti. Al suo fianco la sindaca di Barcellona Ada Colau, 43 anni, sindaca da due per una lista civica, di professione attivista politica di sinistra. Parla un perfetto italiano perché ha studiato con Erasmus a Milano. Il loro avversario è
62 anni, anche lui politico professionista: in Parlamento da 31 anni, più volte ministro, vice del premier di centrodestra Aznar, premier dal 2011. Sua la decisione di far intervenire la polizia per bloccare il voto.
ottenerla ha indetto referendum in Lombardia e Veneto ( le regioni che governa) il prossimo 22 ottobre. Il referendum catalano è stato subito dichiarato illegale dal governo spagnolo. Che ha fatto intervenire la polizia per chiudere una settantina dei 2 mila seggi elettorali. Alla fine il risultato è stato ambiguo: il 90 per cento ha detto sì all’indipendenza, però hanno votato solo quattro elettori su dieci. Così tutti hanno potuto cantare vittoria. «Ma lo stato-nazione, in Spagna come in Italia, è in crisi», dice Bossi a Oggi. «Conosco la Catalogna. Madrid ha tradito le aspettative. Lo stato centrale trasforma le democrazie in monarchie. Tutti ora pensano che il problema sia l’Europa. Ma in realtà
il problema è lo stato centrale». Lo stato centrale in Spagna è guidato dal premier di centrodestra Mariano Rajoy. Che ha sempre disprezzato la minaccia di secessione di Barcellona. Anche nel giorno del referendum l’ha bollata come «una sceneggiata».
PARTITI SPAGNOLI UNITI
Nessun partito nazionale - i socialisti, i “grillini” di sinistra Podemos, i radicali di centro Ciudadanos - appoggia gli indipendentisti catalani. La frattura quindi non è politica, ma geografica. Le immagini dei vecchietti sanguinanti colpiti dai poliziotti spagnoli con proiettili di gomma ai seggi hanno fatto il giro del mondo. Quasi comica la Guardia Civil (i Carabinieri spagnoli) che si scontra con i pompieri ( bomberos) catalani e con i poliziotti locali, inerti e complici dei propri connazionali. Ma alla fine hanno votato per la secessione solo 2,2 dei 5,3 milioni di abitanti della Catalogna. La ferita però resta aperta. Bossi incolpa i magistrati spagnoli: «Si sono inventati perfino che il presidente catalano avrebbe rubato fondi allo stato. Anche a Milano mi hanno accusato di essere un ladro. Ma io ho lasciato la Lega con un bilancio attivo di 41 milioni di euro. Comunque la repressione non riescemai a ottenere il suo scopo. Porta solo maggiore determinazione per ottenere l’obiettivo della Catalogna libera». Libertà. Per Bossi si conquista solo con la secessione: «L’autonomia è il contrario dell’indipendenza. Ci danno un po’ di soldi solo per non farci an- dar via. Ma il nord si sta deindustrializzando, le aziende chiudono. Quindi per necessità anche noi indipendentisti ci accontentiamo dell’autonomia che vuole Salvini». Cosa significa, in concreto? «Se la Lombardia avesse lo statuto speciale come Trentino, Friuli, Sicilia o Sardegna, recupereremmo la metà dei 57 miliardi annui di residuo fiscale ( differenza tra tasse pagate e spesa pubblica ricevuta, ndr) che oggi lo Stato trattiene. E l’economia ripartirebbe». Ma è proprio l’accusa che gli spagnoli rivolgono ai catalani: la rivolta dei ricchi. «No, dei liberi», mormora il senatùr. Prima del referendum catalano del 1° ottobre pochi sapevano del voto in Lombardia e Veneto. Ora l’attenzione aumenta. Hanno votato per indire la consultazione elettorale il centrodestra (che governa le due regioni con i leghistiRoberto Maroni e Luca Zaia) e il M5s. Ma anche vari sindaci lombardo-veneti del Pd sono favorevoli.
« UNALOMBARDIA CONLOSTATUTO SPECIALEAVREBBE LA METÀ DEL RESIDUO FISCALE DI 57 MILIARDI DALLO STATO»