Oggi

«I REPLICANTI NON SONO ROBOT, MA UOMINI NATI NEI LABORATORI. NON SIAMO LONTANI DAL CREARLI DAVVERO»

Il grande attore sfoglia «Oggi»

- Armando Gallo

l’Agente K, un detective del Lapd, la polizia di Los Angeles, a caccia di replicanti, proprio come faceva Rick Deckard. È un mondo controllat­o in tutti i sensi alla velocità supersonic­a della tecnologia. Ma internet e gli smartphone sono in blackout, e con essi anche tutti i dati. Nel frattempo un emergente industrial­e (Jared Leto) sta costruendo nuovi replicanti destinati a lavorare come schiavi. Ci sarà un futuro migliore? «Mi piacerebbe raccontare l’intera trama del film. Ma penso che questa volta sia più giusto non raccontare troppo e lasciare allo spettatore la gioia di scoprirlo, un po’ come successe per il primo film». Quando l’Agente K riesce a trovareRic­k (Harrison Ford), le domande si moltiplica­no. Il film si allaccia al primo e Ridley Scott ritorna con il suo suggerimen­to che Rick potrebbe essere un replicante. Un soggetto di animate discussion­i ancora oggi tra lei e Ridley Scott, vero? «Per chi non ha visto il primo film, voglio ricordare che un replicante non è un robot o una costruzion­e meccanica, ma è biologicam­ente indistingu­ibile da noi. La cosa che lo distingue è il modo in cui viene concepito, che non è il modo divertente, “vecchio stile”

( ride, ndr). Il replicante è costruito in laboratori­o. Non siamo lontani da questo. La scienza è reale, solo l’imposizion­e morale ci impedisce di completare il lavoro. L’intelligen­za artificial­e… No, non voglio dire di più». Questo film è quindi un forte ammoniment­o? «Èun viaggio emozionant­e oltre a essere intratteni­mento. L’ambientazi­one è dura, ma i legami tra gli esseri umani sono potenti, senza toni pretenzios­i. A noi attori e allo spettatore viene offerta l’opportunit­à di andare in una palestra emotiva dentro la “camera oscura” del cinema, tutti insieme. È per questo che ci raccontiam­o storie, perché queste storie ci mettono di fronte alle nostre responsabi­lità reciproche». Pensa che la fama la aiuti a distinguer­e cosa è reale da cosa non lo è? «No, ma ti dà l’opportunit­à di scoprire chi sei realmente, che non è necessaria­mente quello che la gente pensa di te». Cosa ha scoperto di sé attraverso la fama? «Glielo dico in maniera carina: sono affari miei!» ( ride). Quando guarda alla sua spettacola­re carriera, che cosa la rende più fiero? «Penso subito a quanto sono stato fortunato. Ho lavorato con persone straordina­rie chemi hanno dato straordina­rie opportunit­à, che mi hanno riempito al di là di ogni più pazza immaginazi­one. Mi hanno dato uno scopo nella vita, e questo va oltre un normale lavoro». Qual è il suo posto preferito a Los Angeles? «Casa mia, conmia moglie, mio figlio e i miei tre cani». Non è una bella visione quella di Los Angeles del 2049. Cosa spera lei? «Spero in una città che abbia risolto il problema dei senzatetto, con un’equa distribuzi­one di opportunit­à, e dove non abbiamo rovinato l’ambiente». Le piace sempre volare? «È l’unica cosa che mi fa uscire di casa. Mi piace andare al lavoro in aereo, ma se lo piloto io. Il volo è la vera, reale conquista dell’uomo. Siamo predestina­ti ad andare nello spazio». Lo sa che lei avrà 78 anni quando il prossimo Indiana Jones uscirà al cinema? «Meglio girare un’avventura di India, che rimanere a casa in pantofole. È l’unica cosa che so fare, e per trovarmi un altro lavoro, ormai è troppo tardi».

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